lunedì 28 agosto 2017

Una vacanza straordinaria

Una vacanza straordinaria. 
Dieci giorni di vacanza. Ogni giorno scandito da momenti precisi, ogni giorno uguale al precedente. Mi alzo, preparo la colazione, si va al mare, si torna, ci si lava, preparo il pranzo, si mangia, si rassetta casa, si fanno i compiti, si va al mare, si torna, ci si lava, preparo la cena, si mangia, si passa un po' di tempo insieme, si va a dormire. 
Mi accorgo dopo qualche giorno che vivo semplicemente nell'attesa della fine di una fase, per passare alla successiva... la vita diventa “cercare di arrivare quanto prima a fine giornata”. Sale una inquietudine.
Il terzo giorno diventa insostenibile. Mi siedo, chiudo gli occhi, osservo e mi osservo. Mi connetto in profondità con questa inquietudine, con l'assurdo di vivere. Chiudo gli occhi e mi arrendo a ciò che sento, lascio che il sentire sia manifesto, che l'inquietudine sia totale; osservo e mi osservo, sento e mi sento, senza filtri, senza protezione, senza difese, in modo completo, anche doloroso se necessario.
Comprendo di aver dimenticato il principio “Se ogni cosa la fai come un fine in sé, ti liberi
Comprendo di essermi dimenticato di esistere, di essermi dimenticato di essere presente a me stesso, di essermi dimenticato di chiedermi chi sono e dove vado, cosa sento mentre lo sento.
Riprendo il filo della mia vita e ritorno a vivere sapendo di vivere. Devo vivere ogni istante trovando un senso in ciò che faccio. Lavo i piatti o passo il mocio come momento per rilassarmi. Faccio il bagno con le bimbe godendo dell'opportunità che mi viene data per fare qualcosa per coloro che amo.
La noia, il non senso, l'assurdo, non è nella routine, non è nella monotonia, ma nel modo in cui la mia mente si pone di fronte alla routine, alla monotonia. La noia non è nelle cose ma nel modo in cui faccio le cose, nel significato che do alle cose. Se ciò che faccio è fatto per “arrivare il prima possibile alla fine di ciò che sto facendo”, non sto vivendo e tutto perde significato e l'abisso si apre.
Le cose non sono come le vedo ma diventano il modo in cui le guardo.
Le cose non hanno valore in sé, ma sono io che “le significo”.
Il senso di ciò che faccio dipende più da me che da ciò che faccio.
Riapro gli occhi. Riprendo il cammino. Un giorno un amico mio caro disse “apri bene gli occhi, sia mai che entri più luce nel cervello”. 
Inizia la vera vacanza, quella straordinaria, piena di significati, di ricordi caldi e confortevoli, di sorrisi visti veramente. Ritrovo me stesso e quindi le dolci creature che sto accompagnando. 
Ricordai allora le leggende sui 'cieli' e sugli 'inferni' e vidi la linea divisoria tra i due stati mentali”.
L'insinuante forma della luna nera è lì, inchiodata nel firmamento. Niente di male mi può accadere. Devo semplicemente attendere pazientemente il giorno. Senza improvvisare, ma nemmeno fuggire. Non è una battaglia. Sentire tutto ciò che sento. Senza filtrare, senza difendermi. La libertà e l'incatenamento non esistono di per sé, ma dipendono da dove mi pongo. In cosa mi identifico? Cosa sono? Sono ciò che muore o ciò che perdura? Se mi identifico con l'io incatenato al pendolo degli opposti, non esiste libertà, ma solo adesione e rifiuto. Se penso “questo sono io, questo è mio”, “tutto ciò che faccio e penso non dipende da me”.
Una vacanza straordinaria.