INCONTRO
PER IL DIALOGO FILOSOFICO-RELIGIOSO
SINDICATO DE LUZ Y FUERZA, BUENOS AIRES, ARGENTINA
29
OTTOBRE 1995
Cercherò,
nei venti minuti che mi sono stati concessi, di esporre il mio punto
di vista sul primo dei temi indicati dagli organizzatori di questo
convegno: mi riferisco al tema “Dio”.
Il
tema “Dio” può essere trattato in vari modi. In questa sede io
sceglierò di inquadrarlo nell’ambito storico-culturale e questo
non tanto per una mia affinità personale con tale ambito quanto
piuttosto per rispettare il contesto implicitamente stabilito da
questo incontro, che include temi quali “la religiosità nel mondo
contemporaneo” ed “il superamento della violenza personale e
sociale”. L’oggetto di questo mio intervento sarà, di
conseguenza, il tema “Dio” e non semplicemente “Dio”.
Perché
dovremmo occuparci di questo tema? Che interesse può avere per noi,
che apparteniamo ormai al XXI secolo, una simile questione? Su di
essa non era stata forse detta l’ultima parola, la parola
definitiva, con l’affermazione di Nietzsche: “Dio è morto”? A
quanto pare la questione non è stata cancellata per semplice decreto
filosofico. E non ha potuto esserlo per due importanti motivi: in
primo luogo perché non è stato ancora compreso appieno il
significato di questo tema; ed in secondo luogo perché, se ci
poniamo in una prospettiva storica, scopriamo che un qualcosa che
fino a poco tempo fa veniva considerato “anacronistico” oggi
porta a formulare nuovi interrogativi. E questo domandare risuona non
già nelle torri d’avorio dei pensatori o degli specialisti ma
nella strada e nel cuore delle persone semplici. Si potrà dire che
ciò che oggi si osserva è semplicemente una crescita della
superstizione od un tratto culturale caratteristico di popoli che,
per difendere la propria identità, tornano in modo fanatico ai
propri testi sacri e alle proprie guide spirituali. Si potrà dire in
senso pessimista, seguendo certe interpretazioni storiche, che tutto
ciò sta a significare un regresso ad epoche buie. Ognuno può dire
quel che vuole: ma la questione rimane e questo è ciò che conta.
Io
credo che l’affermazione di Nietzsche “Dio è morto!” segni un
momento decisivo nella lunga storia del tema di Dio, per lo meno dal
punto di vista di una teologia negativa o “radicale”, come hanno
voluto chiamarla alcuni dei suoi sostenitori.
E’
chiaro che Nietzsche non si è unito al coro funebre intonato
abitualmente, nel corso delle loro dispute, da teisti ed atei, da
spiritualisti e materialisti. Egli, piuttosto, si è domandato: si
crede ancora in Dio, o è invece iniziato un processo che metterà
fine alla fede in Dio? Nel suo Zaratustra dice: “(...) E
allora si separarono l’anziano e l’uomo, ridendo come ridono i
bambini (...) Più tardi, quando Zaratustra rimase solo, così parlò
al suo cuore: ‘Sarà mai possibile! Questo santo vecchio, nel suo
bosco, non ha dunque ancora sentito dire che Dio è morto?’”
Nella IV parte della stessa opera, Zaratustra domanda: “Che cos’è
che oggi tutti quanti sanno? Forse che il vecchio Dio, nel quale un
tempo tutti credettero, ormai non vive più? - Tu l’hai
detto - rispose rattristato l’anziano. Ed io ho servito questo Dio
fino alla sua ultima ora”. Inoltre, ne La gaia scienza
troviamo la parabola del demente che cercava Dio nella pubblica
piazza, dicendo: “Vi dirò dov’è Dio... Dio è morto! Dio
continua ad essere morto!” Ma siccome coloro che lo ascoltavano non
capivano, il demente spiegò loro che aveva parlato troppo presto,
che la morte di Dio era ancora in corso.
E’
evidente come nei passi citati si stia facendo allusione ad un
processo culturale, alla scomparsa di una credenza e si lasci da
parte la determinazione esatta dell’esistenza o inesistenza in sé
di Dio. La scomparsa di una tale credenza determina enormi
conseguenze: essa infatti porta via con sé tutto un sistema di
valori, per lo meno in Occidente e nell’epoca in cui Nietzsche
scriveva. D’altra parte, l’“alta marea del nichilismo”, che
l’autore predice per i tempi a venire, ha come sfondo proprio la
morte di Dio da lui annunciata.
Si
potrebbe pensare, coerentemente con questa concezione, che se
scompare il Dio su cui si fondavano i valori di un’epoca, dovrà
sopravvenire un nuovo sistema di idee che renda conto della totalità
dell’esistenza e che giustifichi una nuova morale. Un tale sistema
di idee dovrà render conto del mondo, della storia, dell’essere
umano e del suo significato, della società e della convivenza, del
bene e del male, di quel che si deve e di quel che non si deve fare.
Orbene, idee come queste avevano fatto la loro comparsa già da molto
tempo ed in ultimo erano sfociate nelle grandi costruzioni
dell’idealismo critico e dell’idealismo assoluto. Tutti i nuovi
sistemi di pensiero, però, erano strettamente razionali sia per
quanto riguardava l’impostazione generale che la metodologia di
conoscenza e di azione; era quindi indifferente che la loro matrice
fosse idealista oppure materialista, visto che in ogni caso non
rendevano conto della totalità della vita. Le cose, secondo
l’interpretazione di Nietzsche, stavano in termini esattamente
opposti: le ideologie nascevano dalla vita per rendere ragione e
giustificare la vita stessa. Si ricordi che Nietzsche e Kierkegaard,
entrambi in lotta contro il razionalismo e l’idealismo dell’epoca,
sono considerati i predecessori delle filosofie esistenzialiste.
Tuttavia, nell’orizzonte filosofico di questi autori non erano
ancora apparse la descrizione e la comprensione della struttura della
vita umana, alle quali si arriverà solo più tardi. Sullo sfondo
del loro pensiero operava ancora attivamente la definizione di uomo
come “animale razionale”, come natura dotata di ragione e questa
“ragione” poteva essere intesa in termini di evoluzione animale
od in termini di “riflesso” o simili. In quell’epoca si poteva
ancora legittimamente pensare che la “ragione” fosse la cosa più
importante o che, viceversa, fossero gli istinti e le forze oscure
della vita a dare direzione alla ragione. Quest’ultimo era appunto
il caso di Nietzsche e dei vitalisti in generale. Ma dopo la
“scoperta” della “vita umana” le cose sono cambiate... E qui
devo scusarmi per non poter sviluppare adeguatamente questo punto a
causa dei limiti di tempo a cui è soggetto il mio intervento.
Vorrei tuttavia alleviare un po’ la sensazione straniante che si
prova sentendo affermare che “la vita umana” è una scoperta
recente, oggetto da poco tempo di comprensione. In due parole: dai
primi uomini fino ad oggi tutti abbiamo saputo di vivere e di essere
umani e tutti abbiamo avuto l’esperienza del vivere; tuttavia è
molto recente, nel campo delle idee, la comprensione della vita umana
con la sua struttura tipica e le sue proprie caratteristiche. E’
come dire: noi umani abbiamo sempre vissuto coi codici del DNA e
dell’ RNA nelle nostre cellule ma è solo da pochissimo tempo che
essi sono stati scoperti e che il loro funzionamento è stato
compreso. Ed in effetti, solo di recente concetti quali
intenzionalità, apertura, storicità della coscienza,
intersoggettività, orizzonte ed altri hanno raggiunto un adeguato
livello di precisione in campo filosofico e, grazie ad essi, si è
potuto render conto non della struttura della vita in generale ma di
quella della “vita umana” ed il risultato è stato una
definizione di essere umano radicalmente differente da quella di
“animale razionale”. In questa nuova prospettiva, potremmo
chiederci, per esempio: se la vita animale, la vita naturale,
comincia nel momento del concepimento, quando comincia la vita umana
se essa è per definizione “essere-nel-mondo”, il che significa
apertura all’ambiente sociale? Oppure: la coscienza è il riflesso
di condizioni naturali ed “oggettive” od è intenzionalità che
configura e modifica le condizioni date? Od ancora: l’essere umano
è definitivamente concluso od è un essere in grado di modificarsi e
di costruirsi non solo in senso storico e sociale ma anche in senso
biologico? E potremmo citare una serie interminabile di nuovi
problemi posti dalla scoperta della struttura della vita umana, che
ci porterebbero ben oltre l’ambito delle domande che venivano
poste all’epoca del “Dio è morto!”, cioè dentro un orizzonte
storico in cui era ancora vigente la definizione di essere umano
come “animale razionale”.
Ma
torniamo al nostro tema...
Se
il vuoto lasciato dalla morte di Dio non fosse stato riempito da
qualcosa di sostitutivo in grado di dare fondamento al mondo ed
all’agire umano; o se si fosse forzatamente imposto un sistema
razionale che avesse perso di vista il punto fondamentale, vale a
dire la vita, il caos ed il crollo dei valori avrebbero finito per
trascinar via con sé la civiltà intera. Fu questo ciò che
Nietzsche definì “l’alta marea del nichilismo” e, in altre
occasioni, “l’Abisso”. E’ chiaro che né gli studi contenuti
nella sua Genealogia della morale né le idee esposte in Al
di là del Bene e del Male furono sufficienti a determinare
quella “trasmutazione dei valori” che egli andava affannosamente
cercando. Anzi, nella sua ricerca di qualcosa che potesse superare il
suo “ultimo uomo” del secolo XIX, Nietzsche costruì un Superuomo
che, come nelle più recenti leggende del Golem, prese a muoversi
senza controllo, distruggendo ogni cosa al suo passaggio.
L’irrazionalismo e la “Volontà di Potenza” vennero spacciati
come i valori più alti e finirono per costituire lo sfondo
ideologico di una delle più grandi mostruosità che la storia
ricordi.
I
problemi posti dall’affermazione che “Dio è morto” non hanno
potuto essere risolti o superati da una nuova e positiva operazione
che desse fondamento ai valori. E le grandi costruzioni del pensiero
sono rimaste incompiute già all’inizio di questo secolo senza
riuscire a portare a termine questo compito. Attualmente siamo
bloccati di fronte a queste domande: perché dovremmo essere
solidali? Per quale causa dovremmo mettere a rischio il nostro
futuro? Perché mai dovremmo lottare contro l’ingiustizia?
Semplicemente per necessità, per una ragione storica o per un ordine
naturale? La vecchia morale basata su Dio, ma priva di Dio, è forse
sentita come una necessità? Nessuna delle vecchie spiegazioni ormai
ci soddisfa!
E
la nostra situazione tende oggi a complicarsi ancora di più visto
che risulta storicamente impossibile l’apparizione di nuovi
sistemi totali e fondanti. Ricordiamo che l’ultima grande visione
della filosofia appare nel 1900 con le Ricerche logiche di
Husserl; dell’anno precedente è L’interpretazione dei sogni
in cui Freud propone una visione completa dello psichismo umano; la
visione cosmologica della fisica prende forma nel 1905 e poi nel
1915, con la Teoria della relatività di Einstein; la
sistematizzazione della logica la si deve ai Principia Mathematica
di Russell e Whitehead che sono del 1910, ed al Trattato
logico-filosofico di Wittgenstein del 1921. Con Essere e tempo
di Heidegger, del 1927, opera incompiuta che pretendeva di porre le
basi della nuova ontologia fenomenologica, arriviamo al punto di
rottura dei grandi sistemi di pensiero.
Non
stiamo parlando, è necessario ribadirlo, di una interruzione del
pensare ma piuttosto dell’impossibilità di proseguire
nell’elaborazione di grandi sistemi capaci di dare fondamento al
tutto. Ed in campo estetico ritroviamo la stessa spinta verso la
grandiosità delle realizzazioni che è tipica di quell’epoca: ecco
allora Stravinsky, Bartók e Sibelius, Picasso, i muralisti Rivera,
Orozco e Siqueiros; gli scrittori di largo respiro come Joyce; i
registi cinematografici epici come Eisenstein; gli ideatori del
Bauhaus, primo fra tutti Gropius; gli urbanisti e gli architetti
spettacolari, come Wright e Le Corbusier. E forse la produzione
artistica si è interrotta negli anni successivi o nel momento
attuale? Non mi pare, tuttavia essa ha un altro segno: si modula, si
decostruisce, si adatta agli ambienti; è prodotto d’équipe e di
specialisti, si tecnicizza al massimo.
I
regimi politici senz’anima che si impongono in quell’epoca e che
danno per un tempo l’illusione di una compattezza monolitica,
possono ben venire letti come i colpi di coda di un romanticismo
delirante, come tentativi titanici di trasformare il mondo a
qualunque prezzo. Essi inaugurano l’era della barbarie
tecnicizzata, della soppressione di milioni di esseri umani, del
terrore atomico, delle bombe biologiche, dell’inquinamento e della
distruzione su scala gigantesca. Questa è l’alta marea del
nichilismo che annunciava la distruzione di ogni valore e la morte di
Dio di Zaratustra! In cosa crede ormai l’essere umano? Forse in
nuove alternative di vita? O piuttosto si lascia trasportare da una
corrente che gli sembra irresistibile e che non dipende affatto dalla
sua intenzione?
La
tecnica finisce per predominare sulla scienza, si affermano la
visione analitica del mondo e la dittatura del denaro astratto sulle
realtà produttive. In questo magma, le differenze etniche e
culturali, che si credevano superate dal processo storico, riprendono
vita. I sistemi sono soppiantati dal decostruttivismo, dal
postmodernismo e dalle correnti strutturaliste; la frustrazione del
pensiero diventa luogo comune nei filosofi del cosiddetto “pensiero
debole”; la mescolanza degli stili che si soppiantano l’un
l’altro, la destrutturazione delle relazioni umane ed il
proliferare di ogni tipo di sopraffazione, tutto ciò ricorda le
epoche di espansione imperiale dell’antica Persia, dell’ellenismo
o della Roma dei Cesari... Non pretendo, con quanto detto, di
presentare un qualche tipo di morfologia storica, un modello di
processo a spirale che si alimenta di analogie. Sto solo cercando di
mettere in evidenza alcuni aspetti che non ci sorprendono affatto né
ci sembrano in alcun modo incredibili, dal momento che sono emersi
già in altre epoche, per quanto all’interno di un contesto di
mondializzazione e di progresso materiale assai diverso da quello
attuale. Ancor meno desidero trasmettere l’atmosfera di
inesorabilità tipica di una sequenza meccanica, dove l’intenzione
umana non ha alcun peso. Penso piuttosto il contrario: credo che
oggi, grazie alle riflessioni che l’esperienza storica dell’umanità
suscita, si sia nelle condizioni di dare inizio ad una nuova
civiltà, la prima civiltà planetaria. Tuttavia, le condizioni per
questo salto sono estremamente sfavorevoli. Si pensi a come va
aumentando la distanza tra le società postindustriali e
dell’informazione e le società affamate; si pensi alla crescita
dell’emarginazione e della povertà all’interno delle società
opulente; all’abisso generazionale che sembra bloccare la dinamica
storica; alla pericolosa concentrazione del capitale finanziario
internazionale; al terrorismo di massa; alle improvvise secessioni;
agli scontri etnico-culturali; agli squilibri ecologici;
all’esplosione demografica ed alle megalopoli sull’orlo del
collasso... Si pensi a tutto questo e, senza cedere alla visione
apocalittica, si dovrà convenire che lo scenario attuale presenta
molte difficoltà.
Il
problema sta, a mio modo di vedere, nella difficile tran-sizione dal
mondo che abbiamo conosciuto al mondo che viene. E, come in genere
succede tra la fine di una civiltà e l’inizio di un’altra, ci si
deve attendere un possibile collasso economico, una possibile
destrutturazione amministrativa, una possibile sostituzione degli
Stati con parastati e bande, il dominio dell’ingiustizia, un
diffuso senso di scoraggiamento, la diminuzione progressiva
dell’importanza e della visibilità dell’umano, la dissoluzione
dei vincoli, la solitudine, la crescita della violenza e l’emergere
dell’irrazionalismo, il tutto in un ambiente sempre più accelerato
e sempre più globale. Ma il punto più importante riguarderà la
scelta della nuova immagine del mondo: che tipo di società si
proporrà, che tipo di economia, quali valori, che tipo di relazioni
interpersonali, che tipo di dialogo tra ciascun essere umano ed il
suo prossimo, tra ciascun essere umano e la sua anima?
Tuttavia,
qualunque proposta di tipo nuovo dovrà tener conto di almeno due
limiti, che sono i seguenti: 1. Nessun sistema completo di pensiero
riuscirà mai ad affermarsi in un’epoca di destrutturazione; 2.
Nessuna articolazione razionale del discorso risulterà sostenibile
se andrà oltre gli aspetti immediati della vita pratica od oltre la
tecnologia. Queste due difficoltà pongono serie restrizioni alla
possibilità di dare fondamento a nuovi valori di grande portata.
Se
Dio non è morto, allora le religioni hanno più d’una
responsabilità nei confronti dell’umanità: oggi esse hanno il
dovere di creare una nuova atmosfera psicosociale, di rivolgersi ai
propri fedeli con attitudine di insegnamento per sradicare ogni
traccia di fanatismo e di fondamentalismo. Non possono restare
indifferenti di fronte alla fame, all’ignoranza, alla malafede ed
alla violenza. Devono contribuire decisamente alla tolleranza e
spingere al dialogo con le altre confessioni e con chiunque si senta
responsabile del destino dell’umanità. Devono aprirsi, e vi prego
di non considerare irriverente quel che sto per dire, alle
manifestazioni di Dio nelle differenti culture. Ci aspettiamo che le
religioni diano questo contributo alla causa comune in un momento
tanto difficile.
Se,
invece, nel cuore delle religioni Dio è morto, allora possiamo
essere sicuri che tornerà a vivere in una nuova dimora, come ci
insegna la storia delle origini di ogni civiltà; e questa nuova
dimora sarà nel cuore dell’essere umano, molto lontano da ogni
istituzione e da ogni potere.
Nient’altro.
Molte grazie.
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