Questi
"Commenti" non toccano tutti gli argomenti de "Il
Messaggio di Silo", ma solamente quelli che ci sono sembrati
necessari per una migliore comprensione di questo scritto.
Ci
avvicineremo a "Il Messaggio di Silo" rispettandone
l'ordine di esposizione. Pertanto, la prima parte sarà
dedicata ai capitoli ed ai paragrafi del libro "Lo Sguardo
Interno"; la seconda prenderà in considerazione
"L'Esperienza" e la terza "Il Cammino."
Prima parte de “Il Messaggio di Silo"
Nella
prima parte, commenteremo il libro "Lo Sguardo Interno",
considerando i suoi primi
tre capitoliche sono
introduttivi e che riguardano certe precauzioni che si dovrebbero
prendere per inquadrare correttamente i temi più importanti.
Fino
al capitolo Vle
spiegazioni che si danno hanno un sottofondo di non-senso che chi
cerca le verità ultime si sente incline a scartare. Vi
troviamo capitoli e paragrafi che meritano alcune considerazioni. Ma,
innanzitutto dobbiamo domandarci: che cosa si pretende di trasmettere
in questa opera? Si tenta di trasmettere un insegnamento sulla
condotta e sull'interiorità umana, con riferimento al senso
della vita.
Perché
il Libro ha come titolo "Lo Sguardo Interno"?. Forse
l'organo della vista non sta lì per sbirciare il mondo
esterno, come se fosse una finestra, o magari due; non sta lì
per aprirsi ogni giorno al risveglio della coscienza? Il fondo
dell'occhio riceve l’impatto del mondo esterno. Ma a volte,
quando chiudo le palpebre, ricordo il mondo esterno, o lo immagino, o
ci fantastico sopra, o lo sogno. Questo mondo lo vedo con un occhio
interno che pure guarda su uno schermo, che non è però
quello che corrisponde al mondo esterno.
Nel
menzionare uno "sguardo interno", si implica qualcuno che
guarda ed un qualcosa che è guardato. Di questo tratta il
Libro ed il suo titolo segnala in modo evidente ed imprevisto che si
sta mettendo in discussione ciò che è ingenuamente dato
per scontato. Il titolo del Libro riassume queste idee: “ci
sono altre cose che si vedono con altri occhi e c'è un
osservatore che può porsi in un modo differente da quello
abituale" Dobbiamo, ora, fare una piccola distinzione.
Quando
dico che "vedo qualcosa”, rendo manifesto che sto in
atteggiamento passivo rispetto ad un fenomeno che impressiona i miei
occhi. Quando, invece, dico che "guardo qualcosa”, rendo
manifesto che oriento i miei occhi in una determinata direzione.
Quasi nello stesso senso, posso parlare di "vedere
interiormente", di assistere a visioni interne come quelle del
divagare, o quelle del sognare, distinguendolo dal "guardare
interno" come direzione attiva della mia coscienza. In tal modo,
posso perfino ricordare i miei sogni, o la mia vita passata, o le mie
fantasie e guardarle attivamente, illuminare la loro apparente
assurdità, cercando di dotarle di senso. Lo sguardo interno è
una direzione attiva della coscienza. È una direzione che
cerca significato e senso nell’apparentemente confuso e caotico
mondo interno. Quella direzione è precedente anche a quello
sguardo, giacché gli dà impulso. Quella direzione
permette l'attività del guardare interno. E se si arriva ad
afferrare che lo sguardo interno è necessario per svelare il
senso che lo sospinge, si comprenderà che ad un certo momento
chi guarda dovrà vedere se stesso. Questo "se stesso"
non è lo sguardo e neanche la coscienza. Questo "se
stesso" è ciò che dà senso allo sguardo e
alle operazioni della coscienza. Precede e trascende la coscienza
stessa. In modo molto ampio, questo "se stesso" lo
chiameremo "Mente" e non lo confonderemo con le operazioni
della coscienza, né con la coscienza stessa. Ma quando
qualcuno pretende di cogliere la Mente come se fosse un fenomeno
della coscienza come gli altri, questa gli sfugge perché non
si lascia rappresentare né comprendere.
Lo
sguardo interno dovrà arrivare a collidere col senso che la
Mente pone in ogni fenomeno, anche in quelli della propria coscienza
e della propria vita e la collisione con questo senso illuminerà
la coscienza e la vita. Di questo tratta il nucleo più
profondo del Libro.
A
tutto questo ci porta la riflessione sul titolo dell'opera. Ma
entrando in essa, nel primo paragrafo del primo capitolo, ci si dice:
"Qui si racconta come
il non-senso della vita si trasforma in senso e pienezza.".
E nel paragrafo 5, dello stesso capitolo, si chiarisce: " Qui
si parla della rivelazione interiore a cui giunge chi medita in umile
e attenta ricerca."
Rimane
chiaramente definito l'obiettivo, trasformare il non-senso della vita
in senso. E’ tracciato inoltre il modo di arrivare alla
rivelazione del senso in base ad una attenta meditazione.
Entriamo
nel merito:
Il
capitolo I spiega come
arrivare alla rivelazione interiore, mettendo in guardia da
atteggiamenti falsi che allontanerebbero dall'obiettivo proposto.
Il
capitolo III tratta di ciò
che è chiamato "il non-senso". Questo capitolo
comincia con l’esposizione del paradosso "trionfo -
fallimento", in questi termini: "Coloro
che portavano il fallimento nel cuore poterono cogliere la vittoria
finale; coloro che si sentivano trionfatori, si fermarono lungo il
cammino come vegetali dalla vita diffusa e spenta."
In questo capitolo si rivendica il valore del "fallimento"
come non adeguamento ai sensi provvisori della vita e come stato di
insoddisfazione che spinge verso ricerche definitive. Sottolinea il
pericolo della fascinazione dei trionfi provvisori della vita, quelli
che se si ottengono esigono di più, portando infine alla
delusione e che, se non si ottengono, pure portano alla delusione
definitiva, allo scetticismo ed al nichilismo.
Più
avanti, nello stesso capitolo ma nel paragrafo 1, si legge: “Non
c'è senso nella vita se tutto finisce con la morte".
orbene, è da dimostrare se effettivamente la vita finisce o
non finisce con la morte, da un lato, e dall’altro se la vita
ha senso o no in funzione del fatto della morte… Questi doppi
interrogativi sfuggono al campo della Logica per cercare risposte,
nel corso del Libro, in termini di esistenza. Comunque sia, questo
paragrafo 1 del capitolo
III, non è da
leggere di corsa, passando immediatamente al paragrafo seguente.
Esige una pausa e qualche riflessione, poiché si sta trattando
un punto centrale di Dottrina. Nei paragrafi successivi si cerca di
mettere in risalto la relatività dei valori e delle azioni
umane.
Il
capitolo IV prende in
considerazione tutti i fattori di dipendenza che operano sull'essere
umano, sottraendogli possibilità di scelta e libertà di
azione.
Nel
capitolo V appaiono alcuni
stati di coscienza che hanno un carattere differente da quelli
abituali. Si tratta di fenomeni suggestivi, ma non per questo
straordinari, che comunque hanno la virtù di fare sospettare
un nuovo senso della vita. Il sospetto del senso è lungi dal
dare una fede, o dal fomentare una credenza, ma permette però
di mutare o relativizzare la negazione scettica del senso della vita.
Il
registro di tali fenomeni non fa altro che sollevare un dubbio
intellettuale, ma ha il vantaggio di influenzare il soggetto nella
sua vita quotidiana grazie al suo carattere di esperienza. In tal
senso, possiede maggiore capacità di trasformazione di quella
che potrebbe avere una teoria o un insieme di idee che farebbero
variare semplicemente il punto di vista rispetto a qualunque
posizione di fronte alla vita.
In
questo capitolo si menzionano certi fatti che, veri o no dal punto di
vista obiettivo, mettono il soggetto in una situazione mentale
differente da quella abituale. Questi fatti tendono ad essere
accompagnati da intuizioni che fanno sospettare un altro modo di
vivere la realtà. E, precisamente, questo "sospettare"
un altro tipo di realtà ci apre ad altri orizzonti. In ogni
epoca, i cosiddetti "miracoli" (nel senso di quei fenomeni
che contraddicono la percezione normale), portano con sé
intuizioni che finiscono per collocare il soggetto in un altro ambito
mentale. A questo altro ambito, che chiamiamo "coscienza
ispirata", attribuiamo numerosi significati e le relative e
numerose espressioni. I paragrafi di questo capitolo compongono una
specie di lista incompleta, ma sufficiente, di registri che
invariabilmente portano con sé domande sul senso della vita,
il cui registro è di un'intensità psichica tale che
esige risposte sul suo significato. E quali che siano tali risposte,
il sapore intimo che lasciano è sempre di sospetto di una
realtà differente. Vediamo i casi: " A volte ho
anticipato fatti che poi sono accaduti. A volte ho captato un
pensiero lontano. A volte ho descritto luoghi che non avevo mai
visitato. A volte ho raccontato con esattezza ciò che era
avvenuto in mia assenza. A volte mi ha colto un'allegria immensa. A
volte mi ha invaso una comprensione totale. A volte mi ha estasiato
una comunione perfetta con tutto. A volte ho infranto i miei sogni e
ho visto la realtà in modo nuovo. A volte ho riconosciuto come
già visto qualcosa che vedevo per la prima volta... E tutto
ciò mi ha dato da pensare. Mi rendo perfettamente conto che
senza queste esperienze non sarei potuto uscire dal non-senso."
Il
capitolo VI stabilisce
differenze tra gli stati di sonno, di dormiveglia e di veglia.
L'intenzione è quella di relativizzare l'idea che si ha
normalmente della realtà quotidiana e dell'esattezza di quella
realtà che si percepisce.
I
capitoli VII, VIII, IX, X, XI, XII e poi XV, XVI, XVII e XVIII
trattano direttamente o indirettamente del fenomeno della Forza.
Il
tema de La Forza è di sommo interesse perché permette
in maniera pratica, di attivare esperienze che orientano verso il
senso. Diverse da quelle commentate nel capitolo V, che sebbene fanno
sorgere il sospetto del senso, accadono spontaneamente o senza alcuna
direzione. Su questo punto della Forza e delle sue implicazioni
parleremo alla fine di questi commenti su Lo Sguardo Interno
Ora
ci concentreremo sui rimanenti quattro capitoli del Libro.
Il
capitolo XIII presenta i
"Principi di azione valida”. Si tratta della formulazione
di una condotta nella vita, che viene esposta per coloro che
desiderino portare avanti una vita coerente, basandosi su due
registri interni basilari: quello di unità e quello di
contraddizione. In questo modo, la giustificazione di questa "morale"
si trova nei registri che produce e non in idee o credenze
particolari relative ad un luogo, ad un tempo o ad un modello
culturale. Il registro di unità interna che si desidera
evidenziare, è accompagnato da alcuni indicatori di cui tener
conto: 1. - sensazione di crescita interna; 2. - continuità
nel tempo e 3. – desiderio di ripeterlo in futuro. La
sensazione di crescita interna, appare come un indicatore positivo e
di verità, accompagnato sempre dell'esperienza di
miglioramento personale, mentre la continuità nel tempo
permette di verificare, in situazioni successive all'atto, o
immaginate successivamente all'atto, o messe a confronto nel ricordo
con situazioni successive all'atto, se questo non varia secondo la
situazione. Infine, se dopo l'atto si sperimenta il desiderio di
ripeterlo, diciamo che si consolida la sensazione di unità
interna. Al contrario, gli atti contraddittori possono possedere
alcune delle tre caratteristiche degli atti unitivi, o nessuna di
esse, ma non possono mai possedere tutte e tre le caratteristiche
degli atti unitivi.
Tuttavia,
esiste un altro tipo di azione, che non possiamo chiamare
strettamente "valida" e neppure "contraddittoria".
È l'azione che non ostacola il proprio sviluppo, e neppure
produce miglioramenti considerevoli. Può essere più o
meno spiacevole o più o meno piacevole; ma nulla aggiunge né
toglie dal punto di vista della sua validità. Questa azione
intermedia è quella quotidiana, meccanicamente abituale, forse
necessaria per la sussistenza e la convivenza, ma non costituisce di
per sé un fatto morale, secondo il modello, che stiamo
esaminando, di azione unitiva o contraddittoria. I Principi, detti
"di azione valida" sono classificati come: 1. - principio
di adattamento; 2. - di azione e reazione; 3. - di opportunità
dell’azione; 4. - di proporzione; 5. - di conciliazione: 6. -
del piacere; 7. - dell'azione immediata; 8. – di comprensione
dell'azione ; 9. - di libertà; 10. - di solidarietà;
11. - di negazione degli opposti e 12. - di accumulazione delle
azioni.
Il
capitolo XIV del Libro,
tratta della “Guida del Cammino Interno". Questa Guida non
ha maggiori pretese di qualunque esperienza guidata, benché
sia inquadrata tra gli esercizi che si propongono, in direzione
trascendente, di fenomeni "suggestivi" o di "sospetto
del senso”.
Il
capitolo XIX, parla degli
“stati interni". Questo capitolo non è
un'esperienza guidata e non ha la pretesa di produrre soluzioni
trasferenziali, cerca di descrivere in modo allegorico situazioni
attuali nelle quali può trovarsi il lettore. Questo capitolo è
una descrizione poetica ed allegorica di diverse situazioni nelle
quali si può trovare una persona nel suo cammino alla ricerca
del senso della vita. Come si dice nel primo paragrafo: "…
Devi ora acquistare sufficiente percezione degli stati interni in cui
puoi venirti a trovare durante la tua vita ed in particolare durante
il tuo lavoro evolutivo".
Intendiamo qui per "lavoro evolutivo" quello che permette
di svelare incognite via via che si sviluppa il senso della vita.
Il
capitolo XX, intitolato "La
Realtà Interna", è un poco oscuro. Apparentemente,
la sua interpretazione è difficile per chi non ha familiarità
con la teoria dei simboli e delle allegorie e dei fenomeni di
produzione, traduzione e deformazione degli impulsi. Comunque, e
lasciando da parte la comprensione teoretica di questo capitolo
finale, non è difficile trovare persone che percepiscono con
relativa nitidezza i loro stati interni e captano i loro significati
a livello profondo, come farebbero con un qualunque scritto poetico.
Ritornando
ora ai capitoli che riguardano la Forza.
I
temi della Forza, del Centro Luminoso, della Luce Interna, del Doppio
e della Proiezione dell'Energia, possono essere visti in due modi
diversi: Primo. Considerarli come fenomeni di esperienza personale e,
pertanto, considerarli relativamente incomunicabili alle persone che
non li hanno registrati, limitandosi nel migliore dei casi a
descrizioni più o meno soggettive. Seconda. Considerarli
all’interno di una teoria più ampia che li spieghi,
senza ricorrere alla prova dell'esperienza soggettiva. Tale teoria
più ampia che potremmo considerare come derivazione di una
Psicologia Trascendentale, è di una complessità e
profondità tali che è impossibile esporla in questi
semplici “Commenti su Il Messaggio di Silo."
Seconda parte de “Il Messaggio di Silo”
In
questa seconda parte, chiamata "L'Esperienza", prendiamo in
considerazione otto cerimonie che si presentano per differenti casi e
situazioni della vita personale e sociale.
In
quasi tutte le cerimonie sono presenti due realtà che,
trattate esplicitamente o no, mostrano la loro importanza per i
profondi significati che hanno per la vita. Queste realtà, che
ammettono differenti interpretazioni, le conosciamo come
"l'Immortalità" e “il Sacro". Il
Messaggio dà la massima importanza a questi temi e spiega che
si deve avere il pieno diritto di credere o non credere
nell'Immortalità e nel Sacro, perché la vita di una
persona si orienterà in base a come si pone di fronte a
questo.
Il
Messaggio riconosce la difficoltà di esaminare apertamente le
credenze fondamentali, perché ci si scontra con la censura e
con l'autocensura che inibiscono il pensiero libero e la buona
coscienza. Nel contesto della libera interpretazione propiziata dal
Messaggio, si ammette che per alcune persone l'Immortalità si
riferisce alle azioni realizzate in vita ma che i loro effetti
continuano nel mondo fisico nonostante la morte fisica. Per altre, la
memoria che conservano gli esseri cari, o anche gruppi e società,
garantisce la continuità dopo la morte fisica. Per altri
ancora, l'immortalità è accettata come continuità
personale in un altro livello, in un altro "paesaggio" di
esistenza.
Proseguendo
con la libera interpretazione. Alcuni sentono il Sacro come il
motore dell'affetto più profondo. Per essi, i figli o altri
esseri cari rappresentano il Sacro e possiedono un valore massimo che
non deve essere svilito per nessun motivo. Ci sono coloro che
considerano Sacro l'essere umano ed i suoi diritti universali. Altri,
sperimentano la divinità come l'essenza del Sacro.
Nelle
comunità che si formano intorno al Messaggio, si considera che
le differenti posizioni assunte di fronte all'Immortalità e al
Sacro non devono essere semplicemente "tollerate", bensì
genuinamente rispettate.
Il
sacro si manifesta dalla profondità dell'essere umano, da ciò
l'importanza che ha l'esperienza della Forza come fenomeno
straordinario che possiamo far irrompere nel mondo quotidiano. Senza
l'esperienza tutto è dubbioso, con l'esperienza della Forza
abbiamo evidenze profonde. Non abbiamo bisogno della fede per
riconoscere il Sacro. La Forza si ottiene in alcune cerimonie come
l’Uffizio e l'Imposizione. Anche nelle cerimonie di Benessere
ed Assistenza, si possono percepire gli effetti della Forza.
Il
contatto con la Forza provoca un'accelerazione ed un aumento
dell'energia psicofísica, soprattutto se si realizzano
quotidianamente atti coerenti che, d'altra parte, creano unità
interna orientata verso la crescita spirituale
La
prima esperienza, conosciuta come "Uffizio",
è una cerimonia sociale che si realizza su richiesta di un
insieme di persone. I partecipanti chiamati "Ufficiante" e
"Aiutante", stabiliscono una specie di dialogo ad alta voce
che permette a tutti di seguire una stessa sequenza dal principio
alla fine. Si tratta di un'esperienza che, utilizzando alcune
tecniche di rilassamento, dà luogo rapidamente ad un insieme
di immagini visive e cenestesiche che finiscono per assumere il
carattere di una "forma sferica" in movimento, capace di
liberare la Forza. Ad un certo punto si cita un Principio o pensiero
de Lo Sguardo Interno come tema di meditazione. Infine, si realizza
una Richiesta diretta verso ciò che ognuno sperimenta come la
propria "necessità" più profonda.
In
un'altra cerimonia, anch’essa sociale, conosciuta come
"Imposizione" si
lavora col registro della Forza in modo più diretto che
nell’Uffizio. Non si ricorre all'evocazione né al
registro della sfera. Non si legge neppure un Principio, né si
suggerisce qualche tema di meditazione. Come nell’Uffizio, si
mantiene invece una Richiesta.
Una
terza cerimonia, conosciuta come di "Benessere",
si realizza anch’essa su richiesta dei presenti. Senza dubbio,
si tratta di una posizione mentale in cui una o più persone
vengono evocate, e si cerca di ricordare nel modo più vivido
possibile la loro presenza ed i loro toni affettivi più
caratteristici. Si cerca comprendere nel modo più intenso
possibile le difficoltà che in quel momento possono vivere le
persone evocate. Si passa poi a considerare un miglioramento della
situazione in modo che si possa sperimentare il registro di sollievo
corrispondente.
Questa
cerimonia evidenzia un certo meccanismo di "buoni auspici"
o di "buone intenzioni" con il quale ci esprimiamo molto
frequentemente, quasi spontaneamente. Diciamo: "buona giornata",
“cento di questi giorni", "che ti vada bene l’esame"
o "ti auguro di uscire da questa difficoltà", ecc. È
chiaro che in questa cerimonia si fanno le "Richieste" a
partire da una buona disposizione mentale che mette enfasi su intensi
registri affettivi. La "Richiesta" di benefici per altri,
realizzata nelle migliori condizioni, ci pone in una posizione
mentale nella quale ci predisponiamo a dare l’aiuto necessario
il che migliora, inoltre, la nostra direzione mentale rafforzando in
noi le possibilità di comunicazione con gli altri.
Un
punto molto importante da considerare rispetto alle "Richieste",
è quello di effettuarle con il fine che altri possano superare
le difficoltà e ristabilire le loro migliori possibilità.
Su questo, non ci deve essere confusione. Vediamo un caso. Si
potrebbe supporre che una Richiesta per il recupero della salute di
un moribondo sia la cosa più adeguata, poiché si sta
tentando di sottrarre al dolore e alla sofferenza la persona che ne è
colpita; ma, mettendo a fuoco tale Richiesta, si deve prestare molta
attenzione, perché non si tratta di chiedere la cosa migliore
per noi stessi, che vorremmo mantenere la persona colpita dalla
malattia in buona salute e vicino a noi. La richiesta corretta
dovrebbe puntare a ciò che è meglio per quel moribondo
e non a ciò che è meglio per noi stessi. In questa
situazione, in cui siamo legati dall'affetto per quel moribondo che
soffre, dovremmo forse considerare che quella persona può
desiderare di uscire dalla sua situazione, riconciliata ed in pace
con sé stessa. In questo caso, la richiesta è per “ciò
che è meglio per la persona malata" e non per ciò
che è meglio per me, che vorrei trattenere l'altra persona ad
ogni costo. Cosicché la Richiesta per l’altro deve
considerare che cosa è meglio per l’altro e non per me.
Questa
cerimonia si conclude, per coloro che lo desiderino, col fare sentire
la presenza di quegli esseri molto cari che "benché
non siano qui, nel nostro tempo e nel nostro spazio" sono
o sono stati in relazione con noi nell'esperienza dell'amore, della
pace e della calda allegria.
Infine,
con questa cerimonia si pretende di creare una corrente di benessere
per tutti i presenti che sono orientati in una stessa direzione.
Alla
quarta cerimonia, chiamata
di "Protezione",
partecipano Ufficiante, Aiutante, familiari e conoscenti dei bambini
a cui è dedicata. Le spiegazioni su formalità e
significati si danno durante lo svolgimento di questa cerimonia di
cambiamento di stato.
La
quinta cerimonia, di "Matrimonio",
è anch’essa di natura sociale e perciò si celebra
di solito con la partecipazione di numerose coppie che desiderano
unirsi e dare testimonianza pubblica del loro cambiamento di stato.
Come nella cerimonia di Protezione, si danno anche in questo caso
spiegazioni su formalità e significati durante tutto il suo
svolgimento.
La
sesta cerimonia, chiamata di "Assistenza"
è essenzialmente individuale. Come si spiega per ambientare le
parole dell'Ufficiante "Questa
è una cerimonia di grande affetto ed esige che chi la realizza
dia il meglio di sé. La cerimonia può essere ripetuta a
richiesta dell’interessato o di chi si occupa di lui.
L’Ufficiante da solo con il moribondo. Qualunque sia
l’apparente stato di lucidità o di incoscienza del
moribondo, l’Ufficiante si avvicina a lui parlando lentamente,
con voce dolce e chiara".
Numerose frasi che legge l'Ufficiante derivano dal capitolo XIV de Lo
Sguardo Interno, intitolato “La Guida del Cammino Interno".
La sequenza, le immagini e le allegorie che si espongono hanno la
struttura di un'esperienza guidata profonda.
La
settima cerimonia, di "Morte",
è condotta dall'Ufficiante, come nella cerimonia di
Assistenza. Tuttavia, si tratta di una cerimonia sociale destinata a
parenti, amici e conoscenti del deceduto.
L'ottava
ed ultima cerimonia, chiamata di "Riconoscimento",
è condotta da un Ufficiante ed un Aiutante. Nell'ambientazione
si spiega che si tratta di una cerimonia di inclusione nella
Comunità…
Inclusione per esperienze comuni, per ideali, atteggiamenti e
procedimenti condivisi. Si realizza su richiesta di un insieme di
persone e dopo di un Uffizio. Coloro che partecipano devono contare
sul testo che è stato distribuito prima.
Questa cerimonia ha la struttura di una testimonianza collettiva.
Terza parte de "Il Messaggio di Silo”
In
questa terza parte si presentano 17 temi di meditazione che si
riferiscono al raggiungimento della coerenza nel pensare, nel sentire
e nel fare. Si chiama "Il Cammino", questo lavoro che si
segue per avanzare verso la coerenza, verso l'unità della vita
e per evitare la contraddizione, la disintegrazione della vita.
Raggruppiamo i 17 temi in 2 blocchi:
Nel
blocco dei primi 8 temi, si indica la situazione in cui si trova chi
cerca coerenza ed anche il cammino da seguire per avanzare verso la
coerenza.
Nel
blocco dei 9 temi finali, si indicano le difficoltà che si
devono eludere per avanzare verso la coerenza.
1.
- "Se credi che la tua
vita termini con la morte, ciò che pensi, che senti e che fai
non ha senso. Tutto finisce nell’incoerenza, nella
disintegrazione"
Qui
si afferma che nessuna giustificazione è possibile se la si
colloca nella prospettiva della morte. D'altra parte, facciamo la
nostra vita sulla spinta delle necessità vitali. Mangiare,
bere, difendersi dalle aggressioni naturali e cercare il piacere,
sono grandi impulsi che permettono la continuità della vita
nel breve termine. Grazie all'illusione della permanenza vitale si
possono portare avanti tutte le attività, che non possono però
trovare giustificazione al di fuori dell'illusione della permanenza.
2.
- "Se credi che la tua
vita non termini con la morte, ciò che pensi deve coincidere
con ciò che senti e con ciò che fai. Tutto deve
dirigersi verso la coerenza, verso l’unità"
Si
afferma che nel caso in cui si creda nella permanenza o nella
proiezione della vita oltre la morte, questo deve trovare
giustificazione nel coincidere del pensare, del sentire e dell'agire
nella stessa direzione. La vita può permanere o proiettarsi
tramite una specie di unità dinamica e comunque non tramite la
contraddizione.
3.
- "Se sei indifferente
al dolore e alla sofferenza degli altri, ogni aiuto che tu chieda non
troverà giustificazione"
Nel
mondo delle relazioni, non si possono giustificare le proprie
necessità negando quelle degli altri.
4.
- "Se non sei
indifferente al dolore e alla sofferenza degli altri, devi fare in
modo che ciò che senti coincida con ciò che pensi e con
ciò che fai per aiutare gli altri"
Una
posizione coerente di fronte al dolore e alla sofferenza degli altri
esige che quello che si pensa, quello che si sente e quello che si
fa, abbiano la stessa direzione.
5.
- "Impara a trattare
gli altri nello stesso modo in cui vorresti essere trattato"
Tutto
il nostro mondo di relazioni, se pretende di essere coerente, deve
reggersi sulla reciprocità delle azioni. Questa non è
“naturalmente data" nel comportamento ma si considera come
qualcosa in crescita, qualcosa che deve essere appreso. Detta
condotta è conosciuta come "la Regola d’Oro".
Detta condotta si educa e si perfeziona nel mondo delle relazioni con
il tempo e con l'esperienza.
6.
- "Impara a superare il
dolore e la sofferenza in te, nel tuo prossimo e nella società
umana"
Anche
in questo caso è possibile l'apprendimento, non l’abbandonarsi
ad una supposta "natura" umana. Tale apprendimento si
estende agli altri come conseguenza di quanto appreso nel superare la
propria sofferenza.
7.
- "Impara ad opporti
alla violenza che c’è in te e fuori di te"
Come
la base di ogni apprendimento di superamento e di coerenza.
8.
- "Impara a riconoscere
i segni del sacro in te e fuori di te"
Questa
intuizione del "Sacro", dell’insostituibile, cresce e
si estende a diversi campi fino ad arrivare ad orientare la vita (il
Sacro in se stessi) e le azioni nella vita (il Sacro al di fuori di
se stessi).
------------------------------------------------------------------------
9.
- " Non lasciar passare
la tua vita senza chiederti: “Chi sono?”
Nel
senso dei significati di se stesso e di quello che distorce ciò
che si riferisce a "se stesso".
10.
- "Non lasciar passare
la tua vita senza chiederti: “Dove vado?”
Nel
senso della direzione e degli obiettivi della vita.
11.
- "Non lasciar passare
un solo giorno senza darti una risposta su chi sei"
Nel
ricordo quotidiano di se stessi in relazione con la finitezza.
12.
- "Non lasciar passare
un solo giorno senza darti una risposta su dove vai"
È
il ricordo quotidiano di se stessi, in relazione agli obiettivi e
alla direzione della propria vita.
13.
- "Non lasciar passare
una grande allegria senza ringraziare dentro di te"
Non
solamente per l'importanza che ha riconoscere una grande allegria, ma
anche per la positiva predisposizione che si accentua quando si
"ringrazia", rinforzando l'importanza di ciò che si
sperimenta.
14. - "Non lasciar passare
una grande tristezza senza reclamare dentro di te quell’allegria
che vi è rimasta custodita”
Precisamente,
se a suo tempo si sono rese coscienti le esperienze di allegria,
quando le si evocano nei momenti difficili, si fa appello alla
memoria ("caricata" di affetti positivi). Si potrebbe
pensare che da quel "confronto" esca perdente la situazione
positiva, ma non è così perché quel "confronto"
permette di modificare l'inerzia affettiva degli stati negativi.
15.
- "Non immaginare di
essere solo nel tuo villaggio, nella tua città, sulla Terra e
negli infiniti mondi"
Questa
"solitudine" è un'esperienza che si patisce come
"abbandono" di altre intenzioni e, in definitiva, come
"abbandono" del futuro. Parlare del "tuo villaggio, la
tua città, la Terra e gli infiniti mondi " mette tutti ed
ognuno dei luoghi piccoli e grandi, spopolati e popolati, di fronte
alla solitudine ed all’annullamento di ogni possibile
intenzione. La posizione opposta parte dalla propria intenzione e si
estende al di fuori del tempo e dello spazio in cui trascorrono la
nostra percezione e la nostra memoria. Siamo accompagnati da diverse
intenzioni ed anche nell'apparente solitudine cosmica esiste
"qualcosa". C'è qualcosa che mostra la sua presenza.
16.
- "Non immaginare di
essere incatenato a questo tempo e a questo spazio"
Se
non puoi immaginare né percepire un altro tempo ed un altro
spazio, puoi intuire uno spazio ed un tempo interni in cui operano le
esperienze di altri "paesaggi". In quelle intuizioni si
superano i determinismi del tempo e lo spazio. Si tratta di
esperienze non legate alla percezione, né alla memoria. Dette
esperienze si riconoscono indirettamente ed unicamente quando "si
entra" o quando "si esce" da quegli spazi e da quei
tempi. Quelle intuizioni si danno tramite spostamento dell’"io"
e si riconosce il loro inizio e la loro fine per un nuovo
aggiustamento dell’"io". Le intuizioni dirette di
quei "paesaggi" (in quegli spazi Profondi), sono
oscuramente ricordate per contesti temporali, mai per "oggetti"
di percezione o di rappresentazione.
17.
- " Non immaginare che
con la tua morte si perpetui in eterno la solitudine "
Considerando
la morte come "nulla" o come solitudine totale, è
chiaro che non sussiste il "prima" e il "dopo" il
di quella esperienza Profonda. La Mente trascende la coscienza legata
all’"io" e agli spazi e tempi di percezione e di
rappresentazione. Tuttavia, nulla che accada negli Spazi Profondi si
può fare palese all'esperienza.
Silo - Centro di
Studi di Punta de Vacas 03 / 03 / 2009.
Nessun commento:
Posta un commento