“Non c’è senso nella vita se tutto finisce con la morte”
E’ basicamente una questione di fede
In assenza di esperienza, uno può avere fede nella morte o fede nella trascendenza.
Per molti, dire che “non credere in una vita separata” sia un atto di fede, risulta sgradevole, irritante.
Spesso siamo andati fieri del nostro “non credere”. Svelare che è un atto di fede suscita sdegno.
In entrambi i casi è una questione di fede. Non parlo di un Dio o di una religione.
Posso dire che credo nella cosa più logica o più plausibile, ma la ragione è mutevole, può essere piegata al proprio volere, alla propria necessità interna, di rivalsa, né più e né meno della fede.
Posso dire che credo nella cosa che mi fa stare meglio
Posso dire che credo in ciò di cui sento il bisogno
Posso dire che credo nella cosa che mi consola
Posso credere per rivalsa, per rabbia o per vendetta o per paura
Come si può avere fede, senza alcuna base, senza esperienza?
Perché allora è così facile avere fede nella morte?
Perché è così facile credere che la morte chiuda il futuro e che lo chiuda sempre e inevitabilmente?
E’ così facile credere nella morte, che chi ha fede nella morte, non ammette che si tratti di fede.
E’ così facile, che coloro che credono nella morte mi rispondono stizziti quando affermo che tale credenza è un atto di fede. Si stizziscono perché hanno sempre pensato che non credere in una vita separata è un atto di ribellione all’ingenuità della fede, ribellione alla religione. E’ successo anche a me, mi sono sentito quasi insultato. Non consideravo che non credere nella trascendenza è solo un’altra fede, un’altra religione.
“Come può ciò che è immortale generale l’illusione della mortalità?"
Ma la fede, senza esperienza, è mutevole, come la ragione e il sogno.
Esiste la possibilità di avere esperienze di altro tipo?
Di intuire altri stati?
Di sentire un registro interno che trascenda corpo e materia?
Ho cercato, a lungo, in vari “luoghi”. Nella mia esperienza, e in quella di una cara, carissima amica, la stessa cara carissima amica di tante altre volte, si può avere un registro della trascendenza, un vissuto interno dell’immortalità. Non si tratta di una “comprensione”, si tratta di un “sentire”.
Come risolvo il paradosso di un’esperienza che può essere trovata solo quando non è attivamente cercata? La mente non può percepire l’eterno, non può percepire il non tempo.
E’ un’esperienza che non può essere trasmessa né “spiegata" e quindi viene percepita come semplice fede.
Come posso trasmettere la certezza basata sull’esperienza, se questa non è trasmissibile?
Cedo la parola al Maestro, che lo fece meglio di quanto potrei fare io:
“Non potrai giustificare l’esistenza se ad essa porrai come fine l’assurdo della morte. Finora tu ed io siamo stati compagni di lotta. Né tu né io abbiamo voluto piegarci dinanzi ad alcun dio. Vorrei poterti ricordare sempre così. Allora perché mi abbandoni quando non accetto l’inesorabilità della morte? Una volta abbiamo detto: “Neppure gli dei sono al di sopra della vita!” Allora come mai adesso ti inginocchi davanti alla negazione della vita? Tu puoi fare quello che vuoi ma io non abbasserò la testa dinanzi a nessun idolo, anche quando la fede nella ragione sembrerà “giustificarlo””. Silo – Il paesaggio interno
E poi ancora sempre il Maestro
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descriveremo i cinque possibili stati o modi di porsi rispetto al problema della morte e della trascendenza
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C’è un primo stato che corrisponde a chi ha la prova indubitabile - data dall’esperienza diretta, non dall’educazione o dall’ambiente -, la prova evidente, indiscutibile, che la vita è un transito e che la morte è un incidente di poco conto.
Ci sono altri che credono che la vita umana abbia come fine una qualche forma di trascendenza; questa credenza viene loro dall’educazione, dall’ambiente, non da qualcosa di sentito, di sperimentato; non da qualcosa di evidente per loro ma da qualcosa che è stato loro insegnato e che essi accettano, senza alcuna esperienza.
C’è poi un terzo modo di porsi nei confronti del senso della vita, ed è quello di chi vorrebbe avere una fede o un’esperienza. Persone che non hanno fede, non credono nella trascendenza, ma desidererebbero avere qualcosa che desse loro coraggio e direzione nella vita.
Ci sono persone che sospettano, a livello intellettuale, che esista un futuro dopo la morte, una trascendenza. Si limitano a ritenere possibile questa ipotesi pur senza contare su alcuna esperienza di tipo trascendente o alcun tipo di fede e senza peraltro aspirare ad averle
C’è, infine, chi nega ogni possibilità di trascendenza.
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Ma con questo non abbiamo esaurito il tema delle diverse posizioni che si possono assumere di fronte al problema della trascendenza, perché sono possibili differenti gradi di profondità in ciascuna di tali posizioni
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Quanti riescono a trovare la fede o ad avere un’esperienza trascendente, pur non potendole definire in termini precisi (così come non si può definire l’amore), riconosceranno la necessità di dare un orientamento ad altri, di indirizzarli sulla loro stessa via ma non tenteranno mai di imporre il proprio paesaggio a chi non vi si riconosca.
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E così, coerentemente con quanto ho affermato, dichiaro innanzi a voi la mia fede e la mia certezza basata sull’esperienza nel fatto che la morte non chiude il futuro, che la morte, al contrario, modifica lo stato provvisorio della nostra esistenza per lanciarla verso la trascendenza immortale. Non impongo la mia certezza né la mia fede e vivo accanto a coloro il cui modo di porsi nei confronti del senso della vita è diverso dal mio; tuttavia mi sento obbligato ad offrire, per solidarietà, il messaggio che riconosco rende libero e felice l’essere umano. Per nessun motivo eludo la responsabilità di esprimere le mie verità, per quanto esse possano apparire discutibili a chi sperimenta la provvisorietà della vita e l’assurdità della morte.
D’altra parte non chiedo mai agli altri quali siano le loro credenze personali ed in ogni caso, pur definendo con assoluta chiarezza la mia posizione su questo punto, proclamo per ogni essere umano la libertà di credere o non credere in Dio e la libertà di credere o non credere nell’immortalità.
Tra le migliaia e migliaia di donne e di uomini che, fianco a fianco, lavorano con noi in modo solidale, si contano atei e credenti, persone con dubbi e certezze; ma a nessuno viene chiesto quale sia la sua fede; e tutto ciò che viene dato, viene dato come un orientamento, affinché ciascuno decida per proprio conto quale sia la via che meglio chiarisca il senso della sua vita.
Evitare di proclamare le proprie certezze non è coraggioso, ma tentare di imporle non è degno della vera solidarietà.” Silo – Città del Messico – 10 ottobre 1980