SILO - TORTUGUITAS,
BUENOS AIRES, ARGENTINA
1
MAGGIO 1983
INTERVENTO
IN UN GRUPPO DI STUDIO
Una
cosa è la comprensione del fenomeno umano in generale ed un’altra,
molto diversa, è l’esperienza personale dell’umanità
dell’altro.
Prendiamo
in esame la prima questione: la comprensione del fenomeno umano in
generale.
Non
si definisce con esattezza l’essere umano quando si dice che la
sua caratteristica fondamentale è la socialità - o il linguaggio o
la capacità di trasmettere l’esperienza - e ciò perché anche nel
mondo animale troviamo queste stesse espressioni, seppure ad un
livello di sviluppo elementare. Negli alveari, nei banchi di pesci,
nei branchi, è possibile osservare meccanismi di riconoscimento di
tipo chimico tra i singoli individui, da cui derivano forme di
attrazione o di rifiuto. Tra gli animali esistono organizzazioni di
tipo simbiotico con membri ospiti o parassiti che poi ritroveremo in
forme molto più sviluppate in certi raggruppamenti umani... E’
anche possibile riconoscere una sorta di “morale” animale e dei
meccanismi sociali di punizione per coloro che la trasgrediscono
anche se, dall’esterno, questi comportamenti possono essere
interpretati come istinto di conservazione della specie oppure come
il risultato della parziale sovrapposizione tra riflessi condizionati
e non. Neanche un minimo di capacità tecnica è estraneo al mondo
animale, come non lo sono i sentimenti di affetto, odio, pena e
solidarietà tra membri di uno stesso gruppo o tra gruppi o tra
specie.
Ma
allora, cosa definisce l’umano in quanto tale? Lo definisce la
riflessione sul contesto storico-sociale inteso come memoria
personale. Ogni animale è sempre il primo animale, mentre ogni
essere umano è il suo ambiente storico e sociale; in più è
riflessione su tale ambiente e contributo alla trasformazione o al
mantenimento di esso.
L’ambiente
per l’animale è quello naturale. L’ambiente per l’essere umano
è l’ambiente storico-sociale, che egli sottopone ad una
trasformazione continua così come adegua l’ambiente naturale alle
sue necessità immediate ed a quelle di più ampio respiro. Questa
capacità tutta umana di differire le risposte agli stimoli
immediati, questo modo tutto umano di dare un senso e una direzione
alle azioni mettendole in rapporto con un futuro calcolato (o
immaginato) ci presentano una caratteristica del tutto nuova rispetto
al sistema di “ideazione”, di comportamento e di vita degli
esponenti del mondo animale. La maggiore ampiezza del suo orizzonte
temporale permette alla coscienza umana di ritardare le risposte agli
stimoli e di collocare questi ultimi in uno spazio mentale complesso,
adatto allo sviluppo di decisioni, confronti e risultati che vanno al
di là del campo percettivo immediato.
In
altre parole: non esiste una “natura” umana, a meno che con
questa espressione non si intenda qualcosa di totalmente differente
dalla natura animale e cioè la capacità di muoversi in un orizzonte
temporale più ampio di quello legato alla percezione. Detto ancora
in un altro modo: se si afferma che nell’essere umano c’è
qualcosa di “naturale”, la parola “naturale” non va intesa
nel senso di minerale o di vegetale o di animale; nell’essere umano
il “naturale” è il cambiamento, la storia, la trasformazione.
Questa idea non si accorda affatto con l’idea di “natura” per
cui preferiamo non usare questa parola nel modo in cui è stata usata
per tanto tempo, considerando anche che con essa si sono giustificati
numerosi comportamenti disonesti verso l’essere umano. Per esempio:
dato che erano diversi dai conquistatori venuti da fuori, i nativi di
certi paesi furono chiamati “naturali” o aborigeni. Dato che le
diverse razze presentavano alcune differenze morfologiche o di
colore, si disse che nella specie umana esistevano nature differenti
associate alle diverse razze. E così via. Per questo modo di
pensare esisteva un ordine “naturale”: cambiarlo significava
peccare contro qualcosa che era stato stabilito in modo definitivo.
Le diversità razziali, sessuali, sociali rispondevano allora ad un
ordine che si supponeva fosse naturale e che doveva pertanto
conservarsi per sempre.
L’idea
di natura umana è risultata funzionale ad un modo di produzione
basato sullo sfruttamento diretto della natura ma essa è andata in
pezzi nell’epoca della produzione industriale. I resti della
concezione zoologica della natura umana sono visibili ancora oggi:
per esempio in psicologia, dove tuttora si parla di certe facoltà
naturali come la “volontà” o simili. Il diritto naturale, lo
Stato inteso come parte della natura umana proiettata all’esterno,
ecc., hanno, ciascuno a suo modo, contribuito all’inerzia storica
ed alla negazione della trasformazione.
Se
la coscienza umana funziona in modo compresente grazie alla sua
enorme ampiezza temporale e se l’intenzionalità le permette di
proiettare un senso, un significato al fuori di sé, allora la
caratteristica fondamentale dell’uomo è quella di essere e di
costruire il senso del mondo. Come viene detto in Umanizzare la
terra: “Creatore di mille nomi, costruttore di significati,
trasformatore del mondo.... i tuoi padri e i padri dei tuoi padri
continuano in te. Non sei una meteora che cade ma una freccia
luminosa che vola verso i cieli. Sei il senso del mondo; quando
chiarisci il tuo senso illumini la Terra. Ti dirò qual è il senso
della tua vita qui: Umanizzare la Terra! Che cosa significa
Umanizzare la Terra? Significa superare il dolore e la sofferenza,
imparare senza limiti, amare la realtà che costruisci!”.....
Come
vedete, siamo a grande distanza dall’idea di natura umana. Anzi, ne
siamo agli antipodi. Con questo voglio dire che se un tempo il
naturale aveva soffocato l’umano per mezzo di un ordine imposto
sulla base dell’idea di permanenza, ora noi affermiamo l’esatto
contrario: che il naturale deve essere umanizzato e che una tale
umanizzazione del mondo fa dell’uomo un creatore di senso, di
direzione, di trasformazione. Se il senso da lui creato porterà
l’uomo a liberarsi dalla condizione di dolore e sofferenza che si
suppone “naturale”, è veramente umano ciò che va al di là del
naturale: è il tuo progetto, il tuo futuro, tuo figlio, la tua
alba, la tua tempesta, la tua brezza, la tua ira e la tua carezza. E’
il tuo timore e il tuo tremore per un futuro e per un nuovo essere
umano liberi dal dolore e dalla sofferenza.
Passiamo
ad esaminare la seconda questione: l’esperienza personale
dell’umanità degli altri.
Fin
quando ne percepirò solo la presenza “naturale”, l’altro
essere umano non sarà per me che una presenza oggettuale o più
specificatamente animale. Fin quando una sorta di anestesia mi
impedirà di percepire l’orizzonte temporale dell’altro, l’altro
non avrà senso se non in quanto per-me. La natura dell’altro sarà
un per-me. Ma costruendo l’altro come un per-me, mi costituisco e
mi alieno nel mio proprio per-sé. In altre parole: dire ’”io
sono per-me” significa chiudere il mio orizzonte di trasformazione.
Chi trasforma l’altro in cosa si trasforma in cosa, chiudendo così
il proprio orizzonte.
Fin
quando non sperimenterò l’altro al di fuori del per-me, mi
risulterà impossibile agire per l’umanizzazione del mondo. L’altro
dovrebbe essere, nell’esperienza vissuta che ho di lui, una calda
sensazione di futuro aperto che neppure il nonsenso della morte, che
sembra trasformare tutto in cosa, può arrestare.
Sentire
l’umano nell’altro è sentire la vita dell’altro in un
meraviglioso arcobaleno multicolore, che tanto più si allontana
quanto più ne voglio fermare, catturare, strappare l’espressione.
Tu ti allontani e io mi sento confortato perché ho contribuito a
spezzare le tue catene, a superare il tuo dolore e la tua sofferenza.
E se vieni con me è perché ti costituisci, attraverso un atto
libero, come essere umano, non perché sei semplicemente nato
“umano”. Io sento in te la libertà e la possibilità di
costituirti come essere umano. La tua libertà è il bersaglio dei
miei atti. Allora neanche la morte fermerà le azioni che hai messo
in marcia, perché sei essenzialmente tempo e libertà. Amo quindi
dell’essere umano l’umanizzazione sempre più profonda. Ed in
momenti di crisi, di cosificazione, di disumanizzazione come questi,
amo la possibilità di una sua futura riabilitazione.
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