giovedì 14 dicembre 2017

Sono

Riflessioni fatte dopo aver letto una pagina di un testo Zen di Okumura, che spiega Dogen attraverso gli insegnamenti di Uchiyama e Sawaki

Vivo la vita quotidiana. In quel momento sono il padre che prepara i suoi figli per la scuola, o il programmatore schivo che evita qualsiasi discussione in ufficio, o quello che invia le sue pippe mentali via mail, o il ricercatore della mente che chiacchiera con i suoi strambi amici Umanisti, o l'egocentrico che posta link al suo blog.

Sono tutto questo, ma contemporaneamente non sono nulla di tutto ciò. Mi siedo, con me stesso, e inizio lentamente a spostare tutti questi Riccardo. Tutti questi Riccardo, lo stesso nome Riccardo, sono il paesaggio di formazione, lo spazio tempo in cui si è dipanata la mia esperienza vitale; si sono formati attraverso tutta una serie di percezioni e registri; sono il risultato di una serie di eventi, ricordi, parole, pensieri e fondamentalmente sensazioni registrate su queste cose. 

Ma se sposto, uno ad uno, questi Riccardo, queste idee, queste costruzioni stratificate nel tempo, accedendo in attenta ed umile ricerca a zone sempre più profonde della coscienza, mi rendo conto che dietro ognuno di questi Io, c'è qualcosa di più essenziale, di tautologico. Nello zen, viene chiamato “il vero Sé”. Ad ogni spostamento, si presenta sempre un'aspettativa, un obiettivo, un punto d'arrivo, che però nasce anch'esso da un Riccardo che cerca qualcosa, un Riccardo del paesaggio. Per cui, in questo procedere di spostamento in spostamento, supero anche l'aspettativa e l'obiettivo, comprendendo sempre con maggiore chiarezza, quanti e quali strati di “passato”, di “esperienze” hanno formato i vari Riccardo. 

Esistono poi momenti rari, in cui si percepisce, come un'intuizione, come qualcosa che non è pensiero, che non è immagine, né allegoria o simbolo; qualcosa che non è aspettativa, affermazione o negazione; qualcosa che semplicemente è. In quei momenti rari, non sono il padre, l'uomo, il messaggero, il siloista, il marito o il programmatore. In quei momenti molto rari, ma sempre meno rari, sono semplicemente ciò che sono, o detto in modo meno chiaro e quindi più pertinente, semplicemente Sono. In quei momenti molto rari mi trovo di fronte all'incontrovertibile verità dell'Esistere.

L'esperienza è indubitabile, forse è l'unica cosa veramente indubitabile. Io sperimento ciò che sperimento e lo sperimento esattamente come lo sperimento. Tutto il resto che è fuori di me, è percepito attraverso i sensi e quindi è parziale, incompleto, interpretato, per quanto affinati siano i miei sensi, per quanto precisi i miei strumenti di misura, sempre vivo di approssimazioni, interpretazioni e rappresentazioni. Ciò che sperimento invece no, è esattamente come lo sperimento. La sensazione interna che ho delle cose è esattamente e interamente come è. Non vedo le cose come sono, ma sento ciò che sento esattamente come lo sento. So con certezza ciò che percepisco delle cose, non so nulla con certezza delle cose in se.

Allora cosa è questa cosa molto rara? Cosa è questo “Essere” che sperimento e che non è paesaggio? Se non è paesaggio, non è influenzata dal paesaggio, esiste oltre il paesaggio, allora esisteva prima del paesaggio? Esisteva prima di “Io”? Come l'onda del tempo e dell'universo che pulsa attraverso questa singolarità, questa espressione particolare e transitoria della Vita.

Il pensiero non è il luogo per comprendere. Non è un male o un bene; semplicemente il pensiero non è per questo. Comprendere è forse proprio la parola sbagliata da usare. 

Mi accingo quindi a sperimentare, e a sperimentare ciò che sperimento. Mi accingo ad Essere, ad Essere Essenzialmente. Non posso smettere di essere ora il padre, ora il marito, ora il simpatico, ora il taciturno (cosa che non avrei mai pensato di poter essere tra l'altro), poiché ogni Riccardo svolge una funzione precisa nella mia vita. Posso però entrare in contatto con l'Essenza, che ridimensiona e dà un nuovo significato a tutto ciò che Esiste.

Io Sono. Più di ogni altra cosa, Sono.

giovedì 7 dicembre 2017

Urgenza di vivere

Viviamo in questa grande illusione chiamata realtà

Leggevo un pezzo di Ortega y Gasset. Non ricordo bene i dettagli, ma ho un registro chiaro di ciò che ho provato e di ciò che mi ha colpito

La vita s'impone come un'urgenza. La vita deve essere vissuta, ora, è irrimandabile. Non posso vivere ieri, né posso vivere domani, non è possibile. Sono vivo in questo momento, e tutto s'impone esattamente in questo momento, non mi posso sottrarre a questa urgenza. Per quanto possa nascondermi, per quanto io possa anche cercare di stare “altrove”, la vita s'impone in modo inequivocabile, qui e ora.

Devo rispondere a questo potente impulso che proviene dall'essenza dell'essere stesso. Posso rispondere in modo meccanico, naturale e biologico, oppure posso tentare di strappare attimi di libertà dal campo delle possibilità infinite. Lanciare atti nel profondo e attendere risposte da lontano. Posso essere cosciente o incosciente, sveglio o addormentato, ma sempre l'urgenza di vivere imporrà una risposta immediata, qui e ora.

Ogni azione diventa un rispondere meccanicamente ad uno stimolo oppure il tentativo di realizzare una futurizzazione, un'ipotesi, un progetto. Come disse più o meno (più meno che più) sempre Ortega y Gasset in un altro pezzo che lessi, diventiamo praticamente il tentativo di essere ciò che abbiamo immaginato, siamo essenzialmente il nostro stesso progetto di trasformazione, siamo essenzialmente l'ipotesi che abbiamo formulato e ciò che vogliamo diventare, siamo essenzialmente ciò che ancora non siamo.

Siamo ciò che ancora non siamo. Che straordinario paradosso. Siamo ciò che non siamo. E allora la freccia potrebbe essere anche dove non è. La frase sull'altro lato del foglio potrebbe non essere né vera né falsa, ma semplicemente esistere. Ercole e la tartaruga sono arrivati insieme, ma se la sono presa comoda, giusto per non farsi torto.

E se sono ciò che ancora non sono, posso veramente essere ciò che voglio. Ma non in modo così, vago, per dire, perché è molto new age, tipo “non ci si conosce mai abbastanza” o “c'è sempre da imparare”. Affermo proprio di poter essere ciò che voglio, di essere stato più e più volte ciò che volevo... che riesco con chiarezza ad immaginare ciò che voglio essere e di sentire con ancora più chiarezza che sono questo progetto di trasformazione molto più di quanto io sia ciò che sono.

Sento con verità indubitabile, che sono ciò che non sono ancora, e quindi non sono ciò che sono perché presto non lo sarò più.