Riflessioni fatte dopo aver letto una pagina di un testo Zen di Okumura, che spiega Dogen attraverso gli insegnamenti di Uchiyama e Sawaki
Vivo la vita quotidiana. In quel momento sono il padre che prepara i suoi figli per la scuola, o il programmatore schivo che evita qualsiasi discussione in ufficio, o quello che invia le sue pippe mentali via mail, o il ricercatore della mente che chiacchiera con i suoi strambi amici Umanisti, o l'egocentrico che posta link al suo blog.
Sono tutto questo, ma contemporaneamente non sono nulla di tutto ciò. Mi siedo, con me stesso, e inizio lentamente a spostare tutti questi Riccardo. Tutti questi Riccardo, lo stesso nome Riccardo, sono il paesaggio di formazione, lo spazio tempo in cui si è dipanata la mia esperienza vitale; si sono formati attraverso tutta una serie di percezioni e registri; sono il risultato di una serie di eventi, ricordi, parole, pensieri e fondamentalmente sensazioni registrate su queste cose.
Ma se sposto, uno ad uno, questi Riccardo, queste idee, queste costruzioni stratificate nel tempo, accedendo in attenta ed umile ricerca a zone sempre più profonde della coscienza, mi rendo conto che dietro ognuno di questi Io, c'è qualcosa di più essenziale, di tautologico. Nello zen, viene chiamato “il vero Sé”. Ad ogni spostamento, si presenta sempre un'aspettativa, un obiettivo, un punto d'arrivo, che però nasce anch'esso da un Riccardo che cerca qualcosa, un Riccardo del paesaggio. Per cui, in questo procedere di spostamento in spostamento, supero anche l'aspettativa e l'obiettivo, comprendendo sempre con maggiore chiarezza, quanti e quali strati di “passato”, di “esperienze” hanno formato i vari Riccardo.
Esistono poi momenti rari, in cui si percepisce, come un'intuizione, come qualcosa che non è pensiero, che non è immagine, né allegoria o simbolo; qualcosa che non è aspettativa, affermazione o negazione; qualcosa che semplicemente è. In quei momenti rari, non sono il padre, l'uomo, il messaggero, il siloista, il marito o il programmatore. In quei momenti molto rari, ma sempre meno rari, sono semplicemente ciò che sono, o detto in modo meno chiaro e quindi più pertinente, semplicemente Sono. In quei momenti molto rari mi trovo di fronte all'incontrovertibile verità dell'Esistere.
L'esperienza è indubitabile, forse è l'unica cosa veramente indubitabile. Io sperimento ciò che sperimento e lo sperimento esattamente come lo sperimento. Tutto il resto che è fuori di me, è percepito attraverso i sensi e quindi è parziale, incompleto, interpretato, per quanto affinati siano i miei sensi, per quanto precisi i miei strumenti di misura, sempre vivo di approssimazioni, interpretazioni e rappresentazioni. Ciò che sperimento invece no, è esattamente come lo sperimento. La sensazione interna che ho delle cose è esattamente e interamente come è. Non vedo le cose come sono, ma sento ciò che sento esattamente come lo sento. So con certezza ciò che percepisco delle cose, non so nulla con certezza delle cose in se.
Allora cosa è questa cosa molto rara? Cosa è questo “Essere” che sperimento e che non è paesaggio? Se non è paesaggio, non è influenzata dal paesaggio, esiste oltre il paesaggio, allora esisteva prima del paesaggio? Esisteva prima di “Io”? Come l'onda del tempo e dell'universo che pulsa attraverso questa singolarità, questa espressione particolare e transitoria della Vita.
Il pensiero non è il luogo per comprendere. Non è un male o un bene; semplicemente il pensiero non è per questo. Comprendere è forse proprio la parola sbagliata da usare.
Mi accingo quindi a sperimentare, e a sperimentare ciò che sperimento. Mi accingo ad Essere, ad Essere Essenzialmente. Non posso smettere di essere ora il padre, ora il marito, ora il simpatico, ora il taciturno (cosa che non avrei mai pensato di poter essere tra l'altro), poiché ogni Riccardo svolge una funzione precisa nella mia vita. Posso però entrare in contatto con l'Essenza, che ridimensiona e dà un nuovo significato a tutto ciò che Esiste.
Io Sono. Più di ogni altra cosa, Sono.