UNIVERSITA' AUTONOMA DI MADRID, MADRID, SPAGNA
16
APRILE 1993
Ringrazio
l’Università Autonoma di Madrid per l’opportunità offertami di
presentare il mio punto di vista, ed il Forum Umanista
dell’Università per avermi invitato a parlare oggi in questa sede.
Ringrazio per la loro presenza i docenti, gli studenti, gli esponenti
della stampa e gli amici, e infine ringrazio tutti voi che siete qui.
L’ultimo
discorso pubblico da me tenuto a Madrid ebbe luogo il 3 novembre 1989
nell’Ateneo. In quell’occasione parlai di uno dei miei libri che
era stato appena pubblicato da una casa editrice spagnola. Oggi non
toccheremo temi di letteratura o di poesia; faremo invece alcune
considerazioni su una corrente di pensiero che postula l’attività
trasformatrice dell’essere umano e le cui proposte cominciano ad
essere considerate con maggiore attenzione grazie ai profondi
rivolgimenti che stanno avvenendo nella società. Questa corrente è
l’Umanesimo. In modo estremamente sintetico ne riassumeremo i
precedenti storici, l’evoluzione e la situazione che lo
caratterizza nel momento attuale.
Due
sono i significati che si sogliono attribuire al termine “Umanesimo”.
In modo generico, si parla di “Umanesimo” per indicare qualsiasi
tendenza di pensiero che affermi il valore e la dignità dell’essere
umano. L’Umanesimo, in questa accezione, può essere interpretato
nei modi più diversi e contrastanti. Nell’altro significato, che è
più ristretto ma collocato in una prospettiva storica precisa, il
termine “Umanesimo” è usato per indicare quel grande processo
di trasformazione culturale che prese le mosse in Italia tra la fine
del XIV e l’inizio del XV secolo e che, nel secolo successivo, col
nome di “Rinascimento”, dominò tutta la vita intellettuale
europea. Basti menzionare Nicola Cusano, Erasmo da Rotterdam,
Giordano Bruno, Galileo Galilei, Tommaso Moro, Juan Vives e Bouillé
per comprendere tutta la complessità e l’ampiezza dell’Umanesimo
storico. L’influenza culturale dell’Umanesimo si estese a tutto
il XVII secolo e a gran parte del XVIII, dove è rintracciabile nei
principi che sono alla base delle grandi rivoluzioni che segnano
l’inizio dell’età moderna. Il secolo successivo vede invece il
lento declino, fino quasi alla scomparsa, dell’umanesimo come
corrente di pensiero. Solo verso la metà del nostro secolo esso è
tornato ad essere argomento di dibattito tra gli studiosi delle
questioni sociali e politiche.
In
modo molto sintetico, possiamo caratterizzare l’Umanesimo storico
mettendo in evidenza quelli che sono i suoi aspetti fondamentali, e
cioè:
1.
La reazione contro il modo di vivere ed i valori del Medioevo. Con
l’Umanesimo inizia uno studio approfondito delle altre culture, in
particolare di quella greco-romana, nelle loro espressioni
artistiche, scientifiche e filosofiche.
2.
La nuova immagine dell’essere umano, del quale vengono esaltate la
personalità e l’attività trasformatrice.
3.
Il nuovo atteggiamento nei riguardi della natura, che viene intesa
come l’ambiente dell’uomo e non più come una sorta di mondo
demoniaco pieno di tentazioni e castighi.
4.
L’interesse per la sperimentazione e la ricerca nel mondo che ci
circonda e la tendenza a spiegarne i fenomeni con argomenti di ordine
naturale, senza ricorrere al sovrannaturale.
Questi
quattro aspetti dell’Umanesimo storico convergono verso uno stesso
obiettivo: far sorgere la fiducia nell’essere umano e nella sua
creatività e far considerare il mondo come il regno dell’uomo,
regno sul quale egli può esercitare il proprio dominio grazie al
sapere scientifico. In questa nuova prospettiva, la necessità di
costruire una nuova visione dell’universo e della storia appare
inderogabile. Parallelamente, le nuove concezioni del movimento
umanista portano necessariamente alla ridiscussione della questione
religiosa, tanto nelle sue strutture dogmatiche e liturgiche quanto
in quelle organizzative che informano le strutture sociali del
Medioevo. L’Umanesimo, in sintonia con la trasformazione delle
forze economiche e sociali dell’epoca, diventa una forza
rivoluzionaria di volta in volta più cosciente che tende sempre di
più a mettere in discussione l’ordine stabilito. Ma la Riforma,
nel mondo germanico ed anglosassone e la Controriforma, in quello
latino, cercano di frenare le nuove idee, riproponendo in modo
autoritario la visione cristiana tradizionale. La crisi che investe
la Chiesa passa poi alle strutture statali. Alla fine, l’impero e
la monarchia per diritto divino vengono eliminati grazie alle
rivoluzioni che hanno luogo verso la fine del secolo diciottesimo ed
in quello successivo.
Ma,
dopo la Rivoluzione Francese e le guerre d’indipendenza americane,
l’Umanesimo scompare, anche se nella società continua ad
esistere un retroterra di ideali ed aspirazioni ad esso legati che
incoraggia trasformazioni economiche, politiche e scientifiche.
L’Umanesimo è stato eclissato da concezioni e modelli di
comportamento che sono riusciti ad imporsi a livello sociale e che
hanno trovato la loro espressione ultima nel colonialismo, nella
Seconda Guerra Mondiale e nell’assetto bipolare del pianeta. E’
nella situazione venutasi a creare dopo questi eventi che si riapre
il dibattito sul significato dell’essere umano e della natura,
sulla ragion d’essere delle strutture economiche e politiche,
sull’orientamento della Scienza e della tecnologia e, in generale,
sulla direzione degli avvenimenti storici.
Sono
i “filosofi dell’Esistenza” a lanciare i primi segnali:
Heidegger squalifica l’Umanesimo riducendolo ad una metafisica tra
le tante (nella sua Lettera sull’Umanesimo); Sartre lo
difende (nella sua conferenza L’esistenzialismo è un
umanesimo); Luypen ne precisa il contesto teorico (in La
fenomenologia è un umanesimo). Su un altro fronte, ecco
Althusser prendere posizione in senso antiumanista (in Pour Marx1)
e Maritain appropriarsi dell’umanesimo, che del cristianesimo era
stato l’antitesi (nel suo Umanesimo Integrale). A tutti
questi autori va riconosciuto il merito di aver messo in atto degli
sforzi degni di attenzione.
Al
giorno d’oggi l’Umanesimo, dopo aver percorso un cammino tanto
lungo e dopo le ultime discussioni filosofiche, deve necessariamente
definire la propria posizione non solo in termini di concezione
teorica ma anche in termini di prassi in campo sociale. Per quanto
riguarda questi aspetti, ci riferiremo costantemente al recente
documento di fondazione del Movimento Umanista.
Lo
stato della questione umanista deve oggi essere formulato a partire
dalle condizioni in cui l’essere umano vive. Tali condizioni non
sono astratte. Di conseguenza, non è legittimo far discendere
l’Umanesimo da una teoria sulla Natura o da una teoria sulla Storia
o dalla fede in un Dio. La condizione umana è tale che un incontro
privo di mediazioni con il dolore e con la necessità di superare il
dolore risulta ineludibile. Si tratta di una condizione che è comune
a tante altre specie ma che in quella umana presenta un bisogno
addizionale, quello di prefigurare i modi futuri per vincere il
dolore e raggiungere il piacere. La capacità di previsione della
specie umana poggia sull’esperienza passata e sull’intenzione di
migliorare la situazione presente. Il lavoro umano, che si accumula
nelle diverse produzioni sociali e passa trasformandosi di
generazione in generazione, è il risultato di una lotta incessante
per superare le condizioni naturali e sociali in cui l’essere umano
vive. E’ per questo che l’Umanesimo definisce l’essere umano
come un essere storico che trasforma il mondo e la sua stessa natura
attraverso l’attività sociale. Questo punto è di importanza
capitale perché, se lo si accetta, non si potrà poi coerentemente
sostenere l’esistenza di un diritto naturale o di una proprietà
naturale o di istituzioni naturali oppure che, in definitiva,
l’essere umano futuro sarà tale e quale quello attuale, come se
esso fosse compiuto una volta per tutte.
Il
vecchio tema del rapporto tra uomo e natura acquista di nuovo
importanza. Riprendendolo in esame, scopriamo questo grande
paradosso: da un lato l’essere umano ci appare privo di fissità,
privo di natura, dall’altro riconosciamo in lui un aspetto
costante: la storicità. E’ per questo che, forzando i termini, si
può arrivare a dire che la natura dell’uomo sia la sua storia, la
sua storia sociale. Di conseguenza, ogni essere umano che viene al
mondo non è, come avviene nelle altre specie, una sorta di primo
esemplare equipaggiato geneticamente di tutto ciò che gli servirà
per rispondere all’ambiente, bensì un essere storico che sviluppa
la propria esperienza personale in un paesaggio sociale in un
paesaggio umano. Ma ecco che in questo mondo sociale l’intenzione
collettiva di vincere il dolore viene negata dall’intenzione di
altri esseri umani. Con ciò intendiamo dire che alcuni esseri umani
ne “naturalizzano” altri negandone le intenzioni e che in questo
modo li trasformano in oggetti d’uso. Dunque, mentre la tragedia
che deriva dall’essere sottoposti a condizioni fisiche naturali
spinge il lavoro sociale e la scienza verso nuove realizzazioni che
oltrepassino tali condizioni, la tragedia che deriva dall’essere
sottoposti a condizioni sociali di disuguaglianza e di ingiustizia
spinge l’essere umano a ribellarsi ad una situazione in cui
riconosce non il gioco di forze cieche ma quello di intenzioni umane.
Tali intenzioni, che discriminano altri esseri umani, operano in un
campo ben diverso da quello della natura e delle sue tragedie, in cui
non esiste alcuna intenzione. Non a caso in ogni forma di
discriminazione è sempre presente uno sforzo mostruoso teso a
dimostrare come le differenze tra gli esseri umani siano dovute alla
natura, fisica o sociale, cioè ad un gioco di forze prive di
intenzione. Si cercherà di giustificare le differenze razziali,
sessuali od economiche già stabilite facendo appello a leggi
genetiche o di mercato; in ogni caso, però, si dovrà ricorrere alla
distorsione, alla falsità e alla malafede.
Le
due idee fondamentali esposte in precedenza - la prima relativa alla
condizione umana, che per noi è caratterizzata dal dolore e dalla
spinta a superarlo e la seconda che si riferisce alla definizione di
essere umano, che per noi è un essere storico e sociale - secondo
gli umanisti di oggi sintetizzano lo stato della questione
dell’umanesimo. Sugli aspetti particolari di questi due temi
rimando al mio saggio Discussioni storiologiche, contenuto in
Contributi al pensiero.
Nel
Documento di fondazione del Movimento Umanista si dichiara che si
potrà passare dalla preistoria ad una storia pienamente umana solo
quando cesseranno le azioni violente ed animalesche di appropriazione
che alcuni esseri umani compiono nei confronti di altri esseri
umani. Fino a quando ciò non succederà, non sarà possibile
partire da alcun altro valore centrale che non sia l’essere umano
completo, con le sue realizzazioni e la sua libertà. La frase:
“Niente al di sopra dell’essere umano e nessun essere umano al di
sotto di un altro”, sintetizza questa idea. Collocare Dio, lo
Stato, il Denaro o qualsiasi altra entità come valore centrale,
significa relegare l’essere umano in una posizione subordinata e
creare così le condizioni per meglio controllarlo o magari per
sacrificarlo. Come umanisti abbiamo ben chiaro questo punto. Noi
umanisti possiamo essere atei o credenti ma non partiamo dall’ateismo
o dalla fede per dare fondamento alla nostra visione del mondo e alle
nostre azioni; partiamo dall’essere umano e dai suoi bisogni più
immediati.
Noi
umanisti affermiamo che il problema fondamentale è: sapere se
vogliamo vivere e in quali condizioni vogliamo farlo. Qualsiasi forma
di violenza - fisica, economica, razziale, religiosa, sessuale,
ideologica - attraverso cui il progresso umano è stato bloccato,
ripugna agli umanisti. Qualsiasi forma di discriminazione - manifesta
o larvata - costituisce per gli umanisti un motivo di denuncia.
Risulta
così tracciata la linea di demarcazione tra l’Umanesimo e
l’Anti-umanesimo. L’Umanesimo pone al primo posto il lavoro
rispetto al grande capitale; la Democrazia reale rispetto alla
Democrazia formale; il decentramento rispetto al centralismo; la non
discriminazione rispetto alla discriminazione; la libertà rispetto
all’oppressione; il senso della vita rispetto alla rassegnazione,
al conformismo ed all’idea che tutto sia assurdo.
Poiché
si basa sulla libertà di scelta, l’Umanesimo possiede l’unica
etica valida. Allo stesso modo, poiché crede nelle intenzioni e
nella libertà distingue tra errore e malafede.
Queste
sono le nostre posizioni. Noi umanisti, d’altra parte, non
riteniamo di essere usciti dal nulla ma ci sentiamo tributari di un
lungo processo e di uno sforzo collettivo. Ci sentiamo impegnati nei
problemi del mondo d’oggi e siamo coscienti della necessità di una
lunga lotta in futuro. Siamo favorevoli alla diversità, in netta
opposizione all’irregimentazione che finora è stata imposta con la
giustificazione che il diverso crea dialettica tra gli elementi di
un sistema e che pertanto rispettare tutte le specificità significa
dare via libera a forze centrifughe e disintegratrici. Come umanisti
pensiamo il contrario, anzi sottolineiamo il fatto che, proprio in
questo momento storico, l’appiattimento della diversità porta le
strutture rigide all’esplosione. Per questo poniamo l’accento
sulla convergenza degli orientamenti e delle intenzioni e ci
opponiamo, tanto sul piano teorico che pratico, all’eliminazione
della diversità spacciata come condizione del sorgere di
dialettiche all’interno di un insieme dato.
Nel
Documento, noi umanisti ritroviamo le nostre radici nell’Umanesimo
storico e ci ispiriamo agli apporti delle varie culture umane e non
soltanto di quelle che in questo momento occupano una posizione
centrale; pensiamo all’avvenire mentre lottiamo per superare la
crisi generale del presente; siamo ottimisti: crediamo nella libertà
e nel progresso sociale.
Noi
umanisti siamo internazionalisti, aspiriamo ad una nazione umana
universale. Abbiamo una visione globale del mondo in cui viviamo, ma
agiamo nel nostro ambiente. Non desideriamo un mondo uniforme bensì
multiforme: multiforme per etnie, lingue e costumi; multiforme per
paesi, regioni, località; multiforme per idee ed aspirazioni;
multiforme per credenze, dove abbiano posto l’ateismo e la
religiosità; multiforme nel lavoro; multiforme nella creatività.
Noi
Umanisti non vogliamo padroni; non vogliamo dirigenti né capi e non
ci sentiamo dirigenti, capi o rappresentanti di alcuno; non vogliamo
uno Stato centralizzato, né uno Stato Parallelo che lo sostituisca:
non vogliamo eserciti polizieschi, né bande armate che ne prendano
il posto.
L’Umanesimo
entra direttamente nella discussione sulle condizioni economiche. E
sostiene che nel momento attuale il problema-chiave non è quello di
chiarire sempre più in dettaglio i diversi aspetti delle economie
feudali, delle industrie nazionali o dei gruppi regionali; questi
sono solo dei sopravvissuti al passo della Storia, che oggi, per
assicurarsi la propria quota di profitto, devono piegarsi ai dettami
del capitale finanziario internazionale, un capitale speculativo il
cui processo di concentrazione su scala mondiale si fa sempre più
spinto. In una situazione come questa, persino lo Stato nazionale,
per sopravvivere, ha bisogno di crediti e prestiti. Tutti mendicano
gli investimenti e, per averli, forniscono alla banca la garanzia che
sarà essa ad avere l’ultima parola sulle decisioni fondamentali.
Sta arrivando il momento in cui anche le aziende, proprio come le
città e le campagne, diventeranno proprietà indiscussa della banca;
sta arrivando il momento dello Stato Parallelo, un tempo, questo, in
cui il vecchio ordine dovrà essere azzerato. Di pari passo
svaniscono le vecchie forme di solidarietà; siamo di fronte alla
disintegrazione del tessuto sociale ed all’apparire sulla scena di
milioni di esseri umani indifferenti gli uni agli altri e senza
legami tra loro, nonostante la miseria che li accomuna. Il grande
capitale non solo domina l’oggettività grazie al controllo dei
mezzi di produzione, ma domina anche la soggettività grazie al
controllo dei mezzi di comunicazione e di informazione. In queste
condizioni esso può disporre a piacere delle risorse materiali e
sociali, riducendo la natura in uno stato di deterioramento
irreversibile e tenendo sempre meno conto dell’essere umano. Il
grande capitale possiede i mezzi tecnologici per fare tutto questo. E
proprio come ha svuotato le aziende e gli Stati, è riuscito a
svuotare di significato anche la Scienza, trasformandola in
tecnologia che genera miseria, distruzione e disoccupazione. Non c’è
bisogno di grandi discorsi per mettere in evidenza il fatto che oggi
esistono le possibilità tecnologiche per risolvere, a breve termine
e per vaste zone del mondo, i problemi della piena occupazione,
dell’alimentazione, della salute, della casa, dell’istruzione. Se
queste possibilità non si tramutano in realtà è semplicemente
perché la speculazione mostruosa del grande capitale lo impedisce.
Nei paesi avanzati, il grande capitale ha ormai superato lo stadio
dell’economia di mercato e cerca, parallelamente alla riconversione
tecnologica, di disciplinare la società per far fronte al caos che
esso stesso ha generato. La disoccupazione crescente, la recessione e
lo stravolgimento del quadro politico ed istituzionale segnano
l’inizio di un’altra epoca, nella quale i dirigenti ed i quadri
intermedi dovranno essere rinnovati ed adattati ai nuovi tempi.
Questi cambiamenti di schema non sono altro che un passo in più
verso la crisi generale del Sistema che marcia verso la
mondializzazione.
A
contrastare questa situazione di irrazionalità non si levano - come
imporrebbe una visione dialettica - le voci della ragione; sorgono,
invece, i più oscuri razzismi, integralismi e fanatismi. E se il
neo-irrazionalismo prenderà il sopravvento in intere regioni e
collettività, il margine d’azione delle forze progressiste finirà
per ridursi sempre di più. D’altra parte, però, milioni di
lavoratori hanno ormai preso coscienza sia dell’assurdità del
centralismo statale che della falsità della democrazia capitalista.
E’ per questo che gli operai si ribellano contro i vertici corrotti
dei sindacati e che interi popoli mettono in discussione i loro
partiti ed i loro governi. Ma è necessario dare orientamento a
fenomeni come questi che tendono ad esaurirsi in uno sterile
spontaneismo: è necessario discutere il tema fondamentale dei
fattori della produzione.
Per
l’Umanesimo, i fattori della produzione sono il lavoro ed il
capitale, mentre inessenziali e superflue sono la speculazione e
l’usura. Nell’attuale situazione bisogna lottare per trasformare
radicalmente l’assurdo rapporto che si è instaurato tra questi due
fattori. Fino ad oggi è stata imposta questa regola: il profitto al
capitale ed il salario al lavoratore. Ed una tale ripartizione è
stata giustificata con l’argomento del “rischio” che
l’investimento comporta; come se il lavoratore non mettesse a
rischio il suo presente ed il suo futuro nei flussi e riflussi della
disoccupazione e della crisi. Ma c’è un altro elemento in gioco ed
è il potere di decisione e di gestione dell’azienda. Il profitto
non destinato ad essere reinvestito nell’azienda, non diretto alla
sua espansione o diversificazione, prende la via della speculazione
finanziaria. E la stessa via della speculazione finanziaria la prende
il profitto che non crea nuovi posti di lavoro. Di conseguenza la
lotta dei lavoratori deve obbligare il capitale a raggiungere la sua
massima resa produttiva. Ma questo non potrà diventare realtà senza
una compartecipazione nella gestione e nella direzione dell’azienda.
Altrimenti come si potranno evitare i licenziamenti in massa, la
chiusura e lo svuotamento delle aziende? Il vero problema sta infatti
nell’insufficienza degli investimenti, nel fallimento fraudolento
delle aziende, nella catena dell’indebitamento, nella fuga dei
capitali. Se poi qualcuno insistesse ancora sulla base di
insegnamenti ottocenteschi, sull’idea della confisca dei mezzi di
produzione da parte dei lavoratori, quel qualcuno dovrebbe tenere
presente il recente fallimento del Socialismo reale. A chi poi
obietta che regolamentare il capitale così com’è regolamentato il
lavoro comporta la fuga del capitale stesso verso luoghi ed aree più
redditizi, si deve spiegare che una tal cosa non potrà succedere
ancora per molto, giacchè l’irrazionalità dell’attuale modello
economico tende a produrre una saturazione ed ad innescare una crisi
mondiale. Quest’obiezione, poi; non solo fa esplicito
riconoscimento di una radicale immoralità ma ignora il processo
storico dello spostamento del capitale verso la bancha, il quale ha
come conseguenza il fatto che lo stesso imprenditore finisce per
diventare un impiegato senza capacità decisionale, l’anello di una
catena all’interno della quale la sua autonomia è solo apparente.
In ogni caso saranno gli stessi imprenditori che, con l’acuirsi del
processo recessivo, finiranno per prendere in seria considerazione
questi argomenti.
Gli
umanisti sentono la necessità di agire non solo nel campo del
lavoro o sindacale ma anche in quello politico, per impedire che lo
Stato sia uno strumento del capitale finanziario mondiale, per
stabilire un equo rapporto tra i fattori di produzione e per
restituire alla società l’autonomia che le è stata sottratta.
Nel
campo politico, la situazione mostra come l’edificio della
Democrazia si sia gravemente deteriorato per l’incrinarsi dei
pilastri sui quali poggiava: l’indipendenza dei poteri, la
rappresentatività ed il rispetto delle minoranze. La teorica
indipendenza dei poteri è solo un assurdo: nella pratica risulta
seriamente compromessa. Ed in effetti, basta svolgere una semplice
ricerca sull’origine e sulle articolazioni di ciascun potere in
alcune aree del mondo per rendersi conto degli intimi rapporti che lo
legano agli altri: e non potrebbe essere altrimenti, visto che fanno
tutti parte di uno stesso sistema. Quindi, le frequenti crisi dovute
al predominio di un potere sull’altro, al sovrapporsi delle
funzioni, alla corruzione ed alle irregolarità, sono il riflesso
della situazione economica e politica globale di un dato paese.
Per
quanto riguarda la rappresentatività, c’è da dire che all’epoca
in cui fu introdotto il suffragio universale si pensava che ci fosse
un solo atto, per così dire, tra l’elezione dei rappresentanti del
popolo e la conclusione del loro mandato. Ma con il passare del tempo
si è visto chiaramente che oltre a questo primo atto con il quale i
molti scelgono i pochi, ne esiste un secondo con il quale questi
pochi tradiscono i molti, facendosi portatori di interessi estranei
al mandato ricevuto. E questo male si trova ormai in incubazione nei
partiti politici che sono ridotti a dei puri vertici separati dalle
necessità del popolo: ormai, all’interno della macchina dei
partiti, i grandi interessi finanziano i candidati e dettano la
politica che questi dovranno portare avanti. Tutto ciò evidenzia una
profonda crisi nel concetto e nell’espressione pratica della
rappresentatività. Gli umanisti lottano per trasformare la pratica
della rappresentatività dando la massima importanza alle
consultazioni popolari, ai referendum, all’elezione diretta dei
candidati. Non dimentichiamoci che in numerosi paesi ancora oggi
esistono leggi che subordinano i candidati indipendenti ai partiti
politici; che esistono ancora requisiti di reddito e sotterfugi vari
che limitano la possibilità di presentarsi davanti alla volontà
popolare. Qualsiasi legge che limiti la piena capacità del cittadino
di eleggere e di essere eletto è una beffa nei confronti del
fondamento stesso della Democrazia reale, che è al di sopra di ogni
regolamentazione giuridica. E se si vorrà dare attuazione al
principio delle pari opportunità, i mezzi di comunicazione di massa
dovranno mettersi al servizio della popolazione nel periodo
elettorale, durante il quale i candidati pubblicizzano le loro
proposte, dando a tutti esattamente le stesse opportunità. Dovranno
inoltre essere emanate leggi sulla responsabilità politica, in base
alle quali quanti non abbiano mantenuto le promesse fatte agli
elettori rischieranno l’interdizione, la destituzione od il
giudizio politico. Questo perché il rimedio alternativo attualmente
in vigore (gli individui ed i partiti inadempienti saranno
penalizzati dal voto nelle elezioni successive) non pone affatto
termine a quel secondo atto con cui si tradiscono i rappresentati.
Per quanto riguarda poi la consultazione diretta su temi che
presentano carattere d’urgenza, le possibilità tecnologiche di
metterla in pratica crescono di giorno in giorno. Non si tratta di
dare priorità a sondaggi o ad inchieste manipolate, si tratta invece
di facilitare la partecipazione ed il voto diretto attraverso mezzi
elettronici ed informatici avanzati.
In
una Democrazia reale, alle minoranze deve essere data la garanzia di
una rappresentatività adeguata ma, oltre a questo, si devono
prendere tutte le misure che ne favoriscano nella pratica
l’inserimento e lo sviluppo. Oggi le minoranze assediate dalla
xenofobia e dalla discriminazione chiedono disperatamente di essere
riconosciute e, in questo senso, è responsabilità degli umanisti
elevare questo tema a livello di discussione prioritaria, capeggiando
ovunque la lotta contro i neofascismi, palesi o mascherati che siano.
In definitiva, lottare per i diritti delle minoranze significa
lottare per i diritti di tutti gli esseri umani. Ma anche all’interno
di un paese esistono intere provincie, regioni od autonomie che
subiscono una discriminazione analoga a quella delle minoranze come
conseguenza delle spinte centralizzatrici dello Stato, che è oggi
solo uno strumento insensibile nelle mani del grande capitale. Questa
situazione avrà termine quando si darà impulso ad un’organizzazione
federativa grazie alla quale il potere politico reale tornerà nelle
mani di tali soggetti storico-culturali.
In
definitiva, porre al centro dell’attenzione il tema del capitale e
del lavoro, il tema della Democrazia reale e l’obiettivo del
decentramento dell’apparato statale significa indirizzare la lotta
politica verso la creazione di un nuovo tipo di società: una
società flessibile ed in costante cambiamento, in sintonia con le
necessità dinamiche dei popoli che oggi sono soffocati dalla
dipendenza.
Nella
situazione attuale dominata dalla confusione è necessario discutere
il tema dell’Umanesimo spontaneo o ingenuo, mettendolo in rapporto
con ciò che per noi è l’Umanesimo cosciente. Il vigore,
sconosciuto fino a pochi anni fa, con cui gli ideali e le aspirazioni
umaniste si manifestano nelle nostre società, appare ormai evidente:
il mondo sta cambiando a grande velocità e questo cambiamento, oltre
a spazzare via le vecchie strutture ed i vecchi riferimenti, sta
liquidando le forme di lotta tradizionali. In una situazione come
questa appaiono spontaneismi di ogni genere, che somigliano più
alle catarsi o ai tumulti sociali che a dei processi dotati di una
direzione precisa. Pertanto, se attribuiamo a gruppi, associazioni e
singoli individui progressisti la definizione di umanisti,
quand’anche non facciano espressamente parte del Movimento
Umanista, è perché puntiamo ad unire le forze e non a costruire
un nuovo egemonismo che perpetuerebbe punti di vista e procedimenti
omologanti.
Crediamo
che sia nei luoghi di lavoro ed in quelli di residenza dei lavoratori
che la semplice protesta debba trasformarsi in una forza cosciente,
che abbia come obiettivo la trasformarzione delle strutture
economiche; dicendo questo non dimentichiamo certo le numerose
attività in cui sono coinvolti i membri più combattivi delle
organizzazioni sindacali e politiche. Ma noi non proponiamo ad
alcuno di abbandonare il proprio collettivo per partecipare alle
attività del Movimento Umanista: al contrario. La lotta degli
elementi progressisti appartenenti a tali organizzazioni, visto che
è diretta a trasformarne i vertici, va ben oltre le rivendicazioni
di corto respiro e spinge tali elementi a convergere sulle posizioni
umaniste. In larghi strati di docenti e studenti, normalmente
sensibili alle ingiustizie, la volontà di cambiamento diventerà
cosciente a misura che la crisi generale del Sistema tenderà a
gravare anche su di essi. E certo già oggi il settore della Stampa,
che è a diretto contatto con la tragedia di ogni giorno, è in
condizioni di prendere un indirizzo umanista: lo stesso vale per
quei settori intellettuali le cui opere sono in netta opposizione con
i modelli sostenuti da questo sistema inumano. Di fronte alla
sofferenza umana, numerose organizzazioni lanciano l’invito
all’azione disinteressata a favore degli emarginati o dei
discriminati; così, in determinate occasioni, associazioni, gruppi
di volontariato, consistenti fasce della popolazione si mobilitano e
cercano di dare un contributo positivo. Senza dubbio, proprio il
fatto di denunciare problemi di questo tipo costituisce di per sè un
contributo. Ma tali gruppi non impostano la loro azione nel quadro di
una trasformazione delle strutture che danno origine ai mali che
denunciano. Un tale atteggiamento rientra più nel campo
dell’Umanitarismo che in quello dell’Umanesimo cosciente.
Comunque le denunce e le azioni concrete sono degne di essere
approfondite ed ampliate.
Proprio
come esiste un ampio ed esteso settore sociale che potremmo a ragione
chiamare “campo umanista”, così esiste un settore, non meno
esteso, che potremmo denominare “campo anti-umanista”. Oggi,
sfortunatamente, mentre milioni di umanisti non sono ancora scesi in
campo con determinazione per imporre il cambiamento sociale, si
assiste all’apparizione di fenomeni regressivi che si consideravano
ormai superati. A misura che le forze mobilitate dal grande capitale
soffocano i popoli sorgono ideologie incoerenti che crescono
sfruttando il malessere sociale, malessere che incanalano verso falsi
colpevoli. Alla base di queste forme di neo-fascismo c’è una
profonda negazione dei valori umani. Anche in certe correnti
ecologiste devianti succede qualcosa di analogo, visto che
privilegiano la natura rispetto all’uomo. Per esse, la tragedia
degli attuali disastri ecologici non è sta nel fatto che essi
mettono in pericolo l’intera umanità ma nel fatto che l’essere
umano ha attentato contro la Natura. Secondo alcune di queste
correnti, l’essere umano è un essere infetto che in quanto tale
contamina la Natura. Per loro sarebbe stato meglio che la medicina
non avesse avuto alcun successo nella lotta contro le malattie e per
prolungare la vita. “Prima la terra!” urlano in modo isterico,
richiamandoci alla memoria i proclami del nazismo. Da qui alla
discriminazione delle culture che contaminano, degli stranieri che
sporcano ed inquinano, il passo è breve. Anche queste correnti
rientrano nel campo dell’Anti-umanesimo, visto che alla loro base
c’è il disprezzo per l’essere umano. I loro mentori disprezzano
se stessi ed in questo riflettono le tendenze nichiliste e suicide
oggi di moda. Certo, uno strato considerevole di persone sensibili
aderisce ai movimenti ecologisti perché si rende conto di quanto
siano gravi i problemi che questi denunciano; ma se assumeranno, come
sembra opportuno, un carattere umanista, i movimenti ecologisti
indirizzeranno la loro lotta verso i responsabili della catastrofe:
il grande capitale e la catena di industrie ed aziende distruttive,
tutte strettamente imparentate con il complesso militare-industriale.
Prima di preoccuparsi delle foche dovranno preoccuparsi della fame,
del sovraffollamento, della mortalità infantile, delle malattie,
della carenza di abitazioni e strutture sanitarie che affliggono
tante parti della Terra. Dovranno dare l’opportuno risalto a
problemi quali la disoccupazione, lo sfruttamento, il razzismo, la
discriminazione e l’intolleranza nel mondo tecnologicamente
avanzato: quello stesso mondo che, con la sua crescita irrazionale,
sta creando gli squilibri ecologici.
Non
è necessario dilungarsi troppo sulle Destre intese come strumenti
politici dell’Anti-umanesimo. La loro malafede raggiunge livelli
tali che, continuamente, esse si spacciano per rappresentanti
dell’“Umanesimo”. Proprio così: la loro malafede ed il
banditismo che dimostrano nell’appropriarsi delle parole sono
talmente enormi, che questi rappresentanti dell’Anti-umanesimo non
hanno mancato di nascondersi dietro il nome di “umanisti”.
Sarebbe impossibile fare un inventario completo dei trucchi, degli
strumenti, dei modi e delle espressioni utilizzate
dall’Anti-umanesimo. In ogni caso un’opera di chiarificazione
delle tendenze anti-umaniste più nascoste permetterà a molti
umanisti, per così dire ingenui o spontanei, di rivedere le proprie
concezioni ed il significato della propria attività sociale.
Per
quanto riguarda gli aspetti organizzativi, il Movimento Umanista crea
fronti d’azione nei luoghi di lavoro, in quelli di residenza, nel
mondo sindacale, politico e culturale con l’intento di
trasformarsi, poco a poco, in un movimento a carattere sociale.
Portando avanti questa linea, esso crea le condizioni per integrare
forze diverse, gruppi ed individui progressisti senza che questi
perdano la loro identità e le loro caratteristiche particolari.
L’obiettivo del Movimento Umanista è quello di promuovere l’unione
tra forze che possano influire sempre di più su vasti settori della
popolazione e di orientare con la sua azione la trasformazione
sociale.
Noi
umanisti non siamo ingenui e non ci gonfiamo il petto con
dichiarazioni di sapore romantico. In questo senso non crediamo che
le nostre proposte siano l’espressione più avanzata della
coscienza sociale né pensiamo che la nostra organizzazione sia
qualcosa d’indiscutibile. Non ci fingiamo rappresentanti della
maggioranza. In tutti i casi, agiamo in accordo con ciò che
riteniamo più giusto e favoriamo le trasformazioni che crediamo
possibili ed adatte all’epoca in cui ci è toccato vivere.
Per
concludere questo discorso, vorrei comunicarvi una mia preoccupazione
personale. Non credo assolutamente che stiamo andando verso un mondo
disumanizzato del tipo di quello presentatoci da certi autori di
fantascienza, da certe correnti che predicano la salvazione o da
certe tendenze pessimistiche. Credo, però, che ci troviamo
esattamente nel punto, per altro presentatosi molte altre volte nel
corso della storia umana, in cui è necessario scegliere fra due vie
che conducono a due mondi opposti. Dobbiamo scegliere in che
condizioni vogliamo vivere; e credo che, in questo momento
pericoloso, l’umanità si appresti a fare la propria scelta.
L’Umanesimo ha un ruolo importante da giocare a favore della scelta
migliore.
Nient’altro.
Molte grazie.
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