La mia coscienza è in struttura permanente con il “mondo”, inteso come insieme di tutti i possibili stimoli che può ricevere la coscienza (sensi esterni, sensi interni, memoria).
Questa struttura è indissolubile. Sebbene didatticamente posso parlare di coscienza e di mondo come due entità distinte, nella pratica reale, questa distinzione non mi è possibile (quantomeno in questo livello di coscienza). Esiste solamente questa unica entità, che chiamiamo “struttura coscienza-mondo”. Non esiste coscienza, ma sempre “coscienza-di-qualcosa”. Non esiste stimolo ma solamente “coscienza che percepisce uno stimolo”.
Le conseguenze di questo sono immense.
Se intervengo sul mondo, intervengo sulla struttura, modifico la struttura e di conseguenza, inevitabilmente, modifico le sue componenti, modifico la struttura coscienza-mondo, modifico me stesso, la mia essenza più profonda. Ma cosa succede quando agisco sul mondo con l'intento di cambiarlo ma sono attaccato al mio “io” e non sono disposto ad abbandonarlo? Cosa succede se tento di cambiare il mondo ma rifiuto di cambiare me stesso? Si produce un momento di conflitto interno, di contraddizione profonda, di divisione tra conservare e divenire. La mia azione verso il mondo ha un'intenzione trasformatrice, ma questa trasformazione è possibile solamente se accetto in modo aperto che ogni modifica al mondo esterno è possibile solamente in concomitanza ad un cambiamento nella struttura stessa; se cambio qualcosa nel mondo, cambio la struttura coscienza-mondo e cambio per forza di cosa la percezione (l'immagine) che ho di questa struttura, di me stesso.
Se rifiuto il cambiamento personale (per paura, conservazione, inerzia), mi oppongo all'evoluzione della struttura coscienza-mondo e mi oppongo alla stessa operazione di trasformazione del mondo che ho messo in moto. Questa è espressione della contraddizione, confusione nei desideri e nelle motivazioni. Una parte di me necessità un cambiamento, che si esprime attraverso l'insoddisfazione per una situazione “esterna”; un'altra parte di me si oppone a questo cambiamento per paura, contrazione, attaccamento, inerzia. Sono in conflitto con me stesso. Soffro.
Non c'è cambiamento possibile che non coinvolga sempre l'intera struttura. Qualsiasi necessità di cambiamento, che si manifesti come necessità interna o necessità di modificare una situazione esterna, può avvenire solamente attraverso un'azione coerente, in cui prendo atto della necessità di cambiare la struttura coscienza-mondo, ovvero un'azione che cambi me e cambi il mondo, poiché non esiste “me” e “il mondo” ma solo “me-mondo”. Essendo la mia maggiore resistenza quella di cambiare (ovvero accettare che c'è qualcosa che non va in me e deve essere migliorato, ovvero ammettere che non sono infallibile, ovvero “toccare” il mio ego smisurato), comprendo che la mia crescita passa attraverso l'imparare a lasciarmi cambiare, lasciare che l'azione mi cambi, accettare il cambiamento che naturalmente proviene da un'azione verso il mondo.
Ringrazio quindi con profondo affetto ogni situazione scomoda. Ringrazio la vita per il dono dell'insoddisfazione, per la gioia dello squilibrio. Ogni volta che qualcosa non va fuori, è una grande possibilità di mettere in moto un'azione coerente, evolvendo, superandomi, fallendo e riprovando. Ogni situazione scomoda è un segnale, un momento in cui quella fiamma profonda invia il suo messaggio di liberazione. Ogni cosa che voglio cambiare potrebbe essere una manifestazione del divino, che irrompe nello spazio-tempo e richiede l'azione trasformatrice, da cui la struttura esce trasformata, purificata, rinnovata.
Ogni volta che non sono felice, ringrazio l'opportunità che mi viene data per fare un nuovo passo evolutivo.