martedì 27 novembre 2018

Sono un fallito

Sono un fallito. E un disadattato
E cosa significa essere un fallito? E’ forse uno degli insulti più pesanti che si può fare oggi ad una persona… “fallito”… in America usano “loser” (perdente)… e il problema personale peggiore che puoi avere è “essere un disadattato”, un “misfit”
Ebbene si, io sono un fallito. Sono un fallito perché non ho raggiunto il successo in ciò che conta, nella carriera, nella famiglia tradizionale, nel prestigio, nella coppia. Sono un fallito perché le persone non parlano di me, non sono interessate a me… e se parlano di me non dicono “eh, quello è uno di successo”
Sono un fallito. Sono un fallito perché secondo i valori che oggi sono al centro (beh, non più tanto al centro se guardiamo con più attenzione), io non ho raggiunto gli obiettivi che andavano raggiunti
E sono un disadattato. Sono un disadattato perché essere un fallito non mi fa sentire male, non mi fa sentire in imbarazzo, non mi fa sentire meno degno. Sono un disadattato perché ho compreso che dicendo “sono un fallito” in realtà sto dicendo che “ciò che conta” è fallito in me. La carriera, il prestigio, hanno fallito; non riescono più a nutrirmi, non riescono più a farmi sentire bene. Ciò che ha veramente fallito è questo sistema di valori… non sono normale, non dovrebbe essere normale sentire che essere un fallito non è un problema, quindi non sono adeguatamente integrato.
Ma non sono uno di quelli che parla del “sistema”, come se fosse una creatura geniale, subdola, che intenzionalmente e malignamente cerca di creare la società del male. Il sistema… inteso come insieme di valori e credenze: l’insieme di ciò che si deve fare per essere felici. Questo sistema si crea e si distrugge, generazione dopo generazione, epoca dopo epoca. I potenti del sistema sembrano geni del male, fin quando sono al potere, ma sono semplicemente persone disturbate e in perenne terrore di perdere ciò che hanno. Ciò che ieri si credeva rendesse piena e felice la vita di un essere umano, oggi viene rigettato e giudicato banale e ciò che oggi si crede dia la felicità, domani non lo si crederà più, non lo si cercherà più… e ogni “promessa” fatta da qualcuno che ti promette “quello” perderà fascino. Ogni minaccia che ti prometterà di toglierti “quello”, non farà più paura… questo cambierà tutto.
E cosa è morto quindi oggi in me? In cosa ho fallito? Perché sono un disadattato? Sono un disadattato perché questo sistema non funziona più in me. Non sono adatto, e non mi voglio adattare. Non mi interessa la promessa di una posizione di prestigio. Non mi intimorisce la minaccia dell’umiliazione professionale. Se perderò il lavoro mi sentirò male perché avrò difficoltà a far vivere una vita degna alle mie figlie, non perché “essere un disoccupato” è una cosa umiliante che mi rende meno degno. Sono un disadattato perché non misuro il mio valore dal numero di sguardi ammirati e commenti rispettosi degli sconosciuti. Non mi sento meno degno perché ho fallito nel compito di centrare i successi del sistema. Sono un disadattato perché non aderisco ai valori comunemente accettati come “ciò che rende la tua vita degna e felice”.
Ma non succede solo in me. Succede a molti. Molte persone non si sentono più appagate ottenendo ciò che si dice si debba ottenere. Le persone non sono felici pura avendo “ciò che rende felici”. Avere l’ultimo modello di cellulare non basta più. Molti continuano a farlo, a cercare spasmodicamente un simbolo di successo, di adattamento… semplicemente perché non hanno altro in cui credere, hanno vissuto così a lungo in una realtà in cui “essere all’ultima moda e prestigioso” ti rende felice, che continuano a cercare in ogni modo di “essere all’ultima moda”, ma non ne traggono più alcun sollievo… è diventata inerzia, ma il sistema ha fallito anche in loro. Siamo tantissimi. Se solo accettassimo tutti il fallimento di tutte le nostre aspettative, di tutti i nostri valori, di tutto ciò che credevamo ci avrebbe reso felici… saremmo liberi da false promesse e vuote minacce. Saremmo finalmente vuoti, e quindi pronti a riempirci di nuove idee, nuovi valori, nuove credenze.
E succederà. Perché i falliti e i disadattati sono sempre di più… perché nessun senso e valore che rimane mondano e non trascende la vita e l’io, può primeggiare nella coscienza collettiva troppo a lungo. E come in ogni momento in cui un sistema di valori e credenza crolla, gli ultimi “tradizionalisti” diventano isterici e difendono terrorizzati e violentemente la decadenza; quanto è difficile dire “non so più cosa fare per essere felice”. E’ più facile aumentare istericamente la propria “adesione” fingendo che funzioni, anche se dentro il vuoto è sempre più grande. Prima o poi la vacuità e la transitorietà di cui sono intrisi “i sensi e i valori non trascendenti” vengono sempre fuori, il loro valore energetico si esaurisce e la ricerca di sempre, quella che va avanti dagli albori dell’umanità, la ricerca dell’immortalità, intesa come superamento della paura della morte, come ribellione interna all’assurdo della morte, riprende il suo cammino, apparentemente come in un cerchio che si ripete, ma in realtà come in una scala a chiocciola circolare, che vista da sopra è un cerchio, ma ad ogni giro si sale un piano.
Devi scegliere. Vuoi continuare a cercare il successo, cercando di diventare ciò il sistema dice sia “una persona felice”? Oppure sei convinto che, anche se raggiungessi gli obiettivi “che vanno raggiunti” rimarrebbe il tuo vuoto esistenziale? Cosa potrà mai riempire quel vuoto?
Mettiti davanti allo specchio e per dirti con fede una di queste due cose
“Cercherò con tutto me stesso di essere una persona di successo”
Oppure
“Sono un fallito e un disadattato”
Da qui, partirà il resto della tua vita. Questo traccerà la direzione delle tue azioni.
La prima cosa da fare è dare agli altri ciò di cui sentiamo più bisogno, ciò che vorremmo venisse dato a noi.
Ricordiamoci che ogni mattina inizia il resto della nostra vita.

mercoledì 21 novembre 2018

Anestesia

Sperimento in modo paradossalmente vivida una sorta di anestesia.
Le cose mi arrivano, le sento, ma come se se fossero smorzate, attutite, come attraverso i doppi vetri. Le persone intorno a me parlano tra loro… capisco e non capisco cosa dicono… l’assurdità del vivere, del loro sforzarsi da formichina nel formicaio, cercando di non sentire la vacuità.
Anche cose che cerco di sentire con forza. Ho “persone tra le mani” che richiedono che io viva e senta la loro presenza, ne hanno bisogno. Mi sforzo, allungo le braccia della mia coscienza nel tentativo di sentire ciò che sento… l’amore, il sorriso…
Tutto arriva come da lontano. Come una specie di enorme livellamento verso il basso dell’intensità di tutto il percepito esterno ed interno.
Forse tutto era troppo forte… forse ad un certo punto sono scattati i livelli di sicurezza, il “circuito antincendio” della coscienza.
Non c’è nulla di sbagliato in sé in questa forma di autoconservazione.
Meditare in attenta ed umile ricerca anche su questo. Solo perché non diventi “ciò che sono” e continui ad essere ciò che correttamente è, un momento di pausa, come fermarsi di lato e fare qualche lungo e affannoso respiro per non svenire dalla fatica, senza perdere di vista la meta, il Proposito
Il Proposito.
E’ sempre la chiave di tutto. Un Proposito, con la “P” maiuscola, che possa dare senso non alla mia esistenza ma che dia senso all’Esistenza… che sia un senso non provvisorio, che possa sopravvivere a tutto… anche a “io”. Una direzione vitale che sia lanciata in modo che possa essere alimentata di giorno in giorno e contemporaneamente mai fermata da qualsivoglia incidente, sia esso anche la morte. Una direzione vitale che sia oltre il corpo, oltre il “qui”, oltre “io”. Un centro di gravità che sia però di movimento… che non mi faccia “stare” ma mi faccia “andare”. Una direzione che non sia solo una “azione lanciata”, ma che sia un “Processo”, potente, inarrestabile.

Il Maestro diceva: 
Si tú eliges un camino que te parece el adecuado y lo mantienes, el día que amaneces deprimido lo mantienes, y el día que tu novio te abandona, te engaña y tienes un conflicto amoroso, lo mantienes y te la juegas todo en esa dirección, entonces irrumpe un fenómeno que se conoce como fe interna. Y ese fenómeno se manifiesta como fuerza. Pero básicamente todo depende de que elijas una dirección y la mantengas pase lo que pase.
Y que no digas: la condición para que yo mantenga la dirección es que aparezca la fuerza. NO. Es totalmente lo contrario. La condición para que aparezca la fuerza es que mantengas la dirección.
La dirección es algo que sea positivo para tí y para otros.
Ecco. Si sceglie un cammino, lo si mantiene qualsiasi cosa accada, di fronte a qualsiasi difficoltà, e si manifesta la fede interna come forza. Un cammino che sia qualcosa di positivo per te e per gli altri. Un cammino che io mantenga “pase lo que pase”.
E ci sarà dolore, ci sarà anestesia, “e ci sarà azione e reazione ed anche riflesso e incidente; ma se avrai aperto il tuo futuro, niente potrà fermarti.
Il Proposito apre il futuro, perché i Proposito è tale quando trascende il tempo e l’io… non ha fine poiché non ha inizio, poiché non ha colore, è esso stesso, per sua natura, apertura… è un registro, una sensazione, una intuizione, è ciò che è, che mi permette d’intuire ciò che non è.

E’ appunto una direzione senza un luogo, è un atto senza oggetto, è affermare senza negare.

domenica 18 novembre 2018

Solo nella mia mente

Mi sovviene una chiacchierata fatta tempo fa con mio fratello. Si discuteva di meditazione, riflessione su se stessi, della Forza e argomenti correlati. Lui mi disse questa frase: “Riccardo, lo sai che tutto questo avviene solo nella tua testa vero?”
“Solo”.
Ma la sofferenza che ho provato quando è morto mio nipote, non era anch’essa esclusivamente nella mia testa? Il dolore, l’amore, la gioia, la passione, la speranza, la felicità, la serenità, l’angoscia, l’ansia, la preoccupazione, la rabbia… non sono tutte cose che esistono “solo nella mia testa”? E le considero per questo meno “reali”?
Andiamo ancora più a fondo. La realtà, quella che penso di toccare, dove esiste? Interagisco con “la realtà”? O forse interagisco solamente con l’interpretazione che la mia coscienza fa di dati filtrati in modo approssimativo dai miei sensi? Della realtà, se mai esiste in modo distinto da me che la “guardo”, non posso avere alcuna esperienza; ho una sensazione parziale, filtrata e reinterpretata, di dati energetici/chimici (luce/calore) percepiti dai sensi… per quanto mi riguarda la realtà “fuori dalla mia testa” non esiste nemmeno. Per ciò che mi riguarda io posso interagire solamente con ciò che è nella mia testa.
Quindi si, è vero, la meditazione, le comprensioni, gli stati elevati di coscienza, la Forza, l’ispirazione, il Senso, il Silenzio… sono tutte cose che avvengono nella mia testa… Dire “solo” nella mia testa non ha un gran senso, poiché tutto avviene là.
Per questo sono cose di incredibile importanza. Se tutto ciò che sento, penso e in generale sperimento, avviene in me, qualsiasi strumento che mi permette di “aggiungere in me” qualcosa che migliora il funzionamento del tutto, è incredibilmente prezioso. 
In questo sta la magnificenza dell’essere umano (e apparentemente, per ora, solo dell’essere umano). All’interno di una serie di meccanismi biochimici che ci portano a pensare, sentire e agire in modo assolutamente meccanico (come diceva Gurdjieff, l’uomo-macchina), esiste una scintilla che, in modo assolutamente incomprensibile (dal punto di vista dell’uomo-macchina) e quindi apparentemente casuale, permette di aggiungere a questi processi qualcosa di “diverso”, che Silo definirebbe qualcosa di “intenzionale”. La natura umana (e apparentemente, per ora, solo umana) è proprio quella di mutare la propria stessa natura, di aggiungere elementi modificanti alla propria natura che la propria natura, in quello stato, non prevederebbe. E’ il grande paradosso della natura che crea qualcosa che agisce fuori delle leggi della natura e che quindi ci obbliga ogni volta a rivedere totalmente il concetto di “leggi della natura”.
Quando sento “questo è solo nella tua testa”, ascolto quindi semplicemente un’ovvietà, che non sminuisce minimamente ciò di cui si sta parlando.
Qualsiasi esercizio, pratica, preghiera, riflessione o altro, che mi permetta di aggiungere elementi non meccanici all’uomo-macchina, qualsiasi esercizio alteri il mio stato interno diminuendo le tensioni, le ansie e le frustrazioni, aumentando l’unità interna e la mia capacità di affrontare “la realtà”, è un dono di questa zona “casuale” che è in me, o in cui forse io sono; questo campo, che mi viene da dire “mi contiene”, in cui esisto e contemporaneamente non esisto, è la fonte di ogni ispirazione, è la fonte di tutto ciò che non sarebbe possibile, la fonte di tutto ciò che non sarebbe pensabile, la fonte di tutte le azioni “non naturali” (o ancora più soavemente non-meccaniche), compiute nella storia da innumerevoli esseri umani: a partire dal primo (e fino ad oggi, apparentemente unico) animale che, contro ogni legge naturale fino a quel momento esistente, si è avvicinato al fuoco invece di fuggirlo, lo ha preso, lo ha manipolato (impensabile), lo ha conservato, trasportato e infine creato (sbalorditivo), fino ad arrivare ai grandi della storia come Gandhi o Martin Luther King, passando per quelle persone che solo coloro che hanno avuto la grande fortuna di conoscere definiscono “Grandi”, mentre gli altri non ne conoscono nemmeno il nome.
E’ da questo campo, dal Profondo, dal Silenzio, che scaturisce “il bello, il buono, il giusto” dell’esistenza umana. E’ dall’oscuramento di questo campo, dalla contraddizione interna, dall’incoerenza, che nasce tutto ciò che “ha portato rovina e morte all’umanità”.
Essere “umani” è una grande responsabilità e vivere con attenzione, da svegli, in coscienza di Sé, con amore e compassione, è un dono che si fa all’esistente, è un grazie cantato alla vita.