Ritorno su un punto già trattato altre volte. La pudicizia e l'autocensura della felicità.
Mi capitano periodi come questo, in cui sento una grande fede nel futuro, una profonda serenità, un'accettazione di come le cose sono e di come le cose vanno, il rifiuto del controllo a favore dell'influenza. E quando maggiormente sperimento questo senso di pace, una vocina dentro di me sembra dirmi che non è giusto, qualcosa che non va bene c'è sempre, qualcosa che non è esattamente come vorresti c'è...
Certo... se mi metto con l'atteggiamento di trovare qualcosa che non va, qualcosa che non va lo trovo, se proprio voglio stare male, un motivo per stare male lo si scova, o meglio si crea... ma perché questa autocensura? Perché questo non permettere a me stesso di godere pienamente e serenamente di uno stato mentale positivo?
Alcuni direbbero che fa parte della ricerca. Altri direbbero che è giusto così perché non ci si deve mai accontentare... e vari altri modi per “giustificare” (rendere giusta) la sofferenza.
No, non sono affatto d'accordo. Per me invece è figlio di una paesaggio vecchio, anzi antico. Quei paesaggi che se per caso di fronte ad un evento drammatico non soffri, allora vuol dire che non te ne frega un cazzo. Ecco quindi che quando mi trovo in conflitto con qualcosa e qualcuno, e riesco a vivere quel conflitto con il giusto distacco, una sana serenità, come un'occasione per cambiare qualcosa, come un impedimento superabile... ecco che sorge il “certo, non te ne frega un cazzo!”. E sorge non solo dalle voci che ci girano intorno. Sono così tanto assuefatto a questo sistema e a questo paesaggio del “se non soffri non ci tieni abbastanza”, che sorge dentro di me, come una voce interna che cerca di convincermi che “non stai soffrendo solo perché non ci tieni abbastanza”.
Ecco cosa intendo quindi con “superamento del vecchio da parte del nuovo”. Supero un paesaggio vecchio, stantio, inutile e pesante. Un paesaggio che lega indissolubilmente l'amore alla perdita, la vicinanza all'attaccamento, la passione al desiderio di possesso.... nell'interminabile pendolo degli opposti.
Affermo con convinzione che, come lo stato naturale del corpo è lo stato di salute e la malattia è un segnale di un qualche malfunzionamento nel corpo ed un tentativo di riparazione si fa necessario, così lo stato naturale della mente è quello di pace e serenità e la sofferenza è un segnale di un qualche malfunzionamento della mente ed un tentativo di riparazione si fa necessario.
La sofferenza non è necessaria, a volte capita, a qualcuno, in certe situazioni
La sofferenza non indica che ci tieni a qualcosa, attaccamento forse
La sofferenza non indica amore, desiderio di possesso forse
La serenità non indica menefreghismo, lucidità magari
Il distacco non significa apatia, coscienza della transitorietà invece
Una determinata situazione conflittuale può essere vissuta da qualcuno come contraddizione, foriera di grandi tensioni, di sofferenza. Altri possono viverla come un ostacolo, più o meno complesso, che non fa che richiedere più impegno ed energia. Altri ancora come un'opportunità di cambiamento, come lo stimolo a modificare il paesaggio, come occasione per comprendere la radice dei propri conflitti. Di fronte allo stesso paesaggio può sorgere la sofferenza o uno slancio verso il futuro, paralisi o stimolo... rifiuto ogni allusione al fatto che chi soffre è perché ci tiene di più
Rifiuto ogni spiegazione razionale della sofferenza basata sugli eventi esterni. Rifiuto ogni “soffro perché è successo questo, perché lei ha fatto questo, perché lui ha detto quello”. Rifiuto l'autocensura.
Se sono felice è perché sono felice, perché sto come è previsto che io stia, perché sono nello stato mentale di salute, lo stato mentale corretto, sano, giusto. Se sono sereno e in pace è perché ho un corretto punto di vista sulla realtà, perché ho un adeguato livello di coscienza che mi permette di dare il giusto peso alle cose, perché accetto il transitorio in tutto ciò che vedo, l'illusione dei sensi, la certezza dei registri.
Se mi sento sereno e in pace, è perché in quel momento, la mia mente, non è malata.