lunedì 21 marzo 2016

Formare i nostri figli

“Educare”, “insegnare”, “formare” i nostri figli?

Quando i nostri figli cresceranno, quando avranno l'età per proiettarsi con forza nel mondo, faranno esattamente come abbiamo fatto noi: proietteranno nel mondo il loro paesaggio di formazione. Esattamente come successo a noi, tanto più inadeguato il paesaggio di formazione sarà ai tempi in cui lo proietteranno, tanto meno coscienti di questa mancanza di adeguatezza (che sia “giusta” o “sbagliata”), tanta più contraddizione lanceranno nel mondo, tanta più sofferenza i nostri figli sperimenteranno. Ci siamo passati, l'abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Ci siamo formati con dei modelli, dei ruoli, dei valori; poi siamo diventati adulti e “istintivamente” abbiamo tentato di applicare quei ruoli, di vivere secondo quei valori, di aspirare a quei modelli. Ma alcuni di quei valori, alcuni di quei modelli e alcuni di quei ruoli, si sono rivelati inadeguati, a volte totalmente fuori tempo. Mancandoci la lucidità e la saggezza per comprendere questo semplice fatto, abbiamo tentato ogni tipo di forzatura; abbiamo forzato la “realtà percepita”, tentando in tutti i modi di farla coincidere con l'immagine che veniva dal nostro paesaggio; le cose dovevano essere come volevamo che fossero così da poter applicare i modelli, i ruoli e i valori che non stavano funzionando. Questo tentativo di piegare la realtà al nostro volere, di forzare noi stessi e il mondo che era intorno a noi, non funzionava, non stavamo meglio, non smettevamo di soffrire.

Vogliamo questo per i nostri figli? Vogliamo che tra 10 o 20 anni vivano nel tentativo di far funzionare un paesaggio di formazione che non funziona? Vogliamo che sperimentino quella frustrazione? Che si sentano inadeguati e sbagliati?

Ovviamente no! Noi vogliamo che i nostri figli siano felici, forti, sicuri di loro. Li vogliamo luminosi, lanciati nel futuro con libertà e allegria. Li vogliamo saggi, forti e buoni. Ma non è che vogliamo ancora qualcosa che è nel nostro paesaggio di formazione? Non è che siamo passati dal proiettare il modello di “persona di successo” al proiettare il modello di “padre perfetto” e “figlio felice” che viene dal nostro paesaggio di formazione? E se posso insinuare questo di qualsiasi cosa a cui io aspiro, che senso ha cercare una risposta? Cosa posso fare?

Ingenuamente potrei pensare che il mio compito è quello di dare ai miei figli dei “valori universali”, dei “modelli profondi” che superino il tempo e lo spazio. Come posso io dare ai miei figli dei “valori universali”, se parto da un sistema di valori che non è universale? Che si è già dimostrato fallimentare? Come posso fornire ai miei figli dei “modelli profondi” che possano superare il tempo e lo spazio in cui sono nati e cresciuti, se io per primo credo così fortemente in ciò che credo da affermarne “la verità assoluta anche se essa esiste solo nella mia testa”?

Il mio compito è quello di scoprire libertà. Il mio compito è quello di imparare senza limiti. Il mio compito, con i miei figli, non è quello di “aggiungere cose”. Il mio compito è quello di scoprire strumenti, strumenti di libertà, modi e mezzi per lanciare atti. Il mio compito non è quello di consegnare un sapere, ma partecipare all'immaginazione di nuovi strumenti per scoprire qualcosa che vada oltre ciò che è legato al tempo e allo spazio e al corpo. Non è mio compito immaginare, ma è mio compito partecipare all'immaginare, all'intuire. Il mio compito è fare attenzione a non aggiungere il mio paesaggio, a non aggiungere. E nel non aggiungere, tolgo a me stesso ciò che non sono riuscito a togliere prima.

Non è indifferente ciò che faccio. Ogni azione che metto in moto, si posa sugli altri. Che venga percepita come “esempio di comportamento” o “qualcosa da non ripetere”, in ogni caso il nostro agire, influenza l'agire altrui e l'agire altrui influenza il nostro agire, in un interminabile fondersi di intenzioni, di aspirazioni, di registri, che si ripete da sempre. Nulla di ciò che faccio finisce in ciò che faccio, ma si amplifica negli altri, che sia per adesione o per rifiuto, ogni cosa che faccio, si moltiplica. Più che mai si moltiplica nei nostri cari e sommamente nei nostri figli e il loro agire si moltiplica in noi. Non abbiamo da dare ai nostri figli nulla più di quanto loro hanno da dare a noi. Il nostro compito non è quello di dare risposte, ma di continuare il nostro viaggio, di partecipare ad una ricerca di risposte.

I nostri figli proietteranno il loro paesaggio di formazione nel mondo medio. Le nostre azioni di oggi, incontrandosi con le loro, creano questo paesaggio. Che paesaggio di formazione stai creando con i tuoi figli? Che paesaggio di formazione stai creando con i figli dei tuoi amici? Che paesaggio di formazione stai creando con i giovani con cui entri in contatto? Che paesaggio di formazione stanno contribuendo a formare le tue azioni, che si moltiplicano in altri fino ad arrivare a giovani di cui non percepisci che una vaga sensazione? Il potere di ciò che faccio mi sconvolge. Il potere che ho tra le mani mi atterrisce.

Quanto di questo ha a che fare con “umanizzare la terra”?

Nessun commento:

Posta un commento