lunedì 11 aprile 2016

Insogni e morte

Riflettevo in poco attenta e insufficientemente umile ricerca e ho divagato su un paio di cose

A cosa pensare tutto il giorno? Domanda strana. Ultimamente ho visto spesso gli insogni. A volte li vedo nascere e vedendoli nascere li vedo perdere immediatamente tutta la loro carica e assopirsi. Altre volte sono più forti e quindi continuano nonostante io li guardi; questo mi permette a volte di comprendere anche cose molto interessanti. Mi sono quindi trovato a divagare sulla divagazione, sul fatto che gran parte del mio tempo “non sono molto cosciente” di ciò a cui sto pensando e immaginavo un livello di coscienza tale da superare questo meccanismo degli insogni a raffica e mi domandavo: a che cazzo penso tutto il giorno? Se la mente non è occupata tutto il giorno a proiettare i suoi film sullo schermo, che cosa fa? Come si tiene occupata? Ero moderatamente divertito dall'inconsistenza di questa domanda, ma comunque impressionato dall'enormità dell'idea di una mente in uno stato come questo, possibile o no che sia.

La seconda meditazione era sulla frase “Non c'è senso nella vita se tutto finisce con la morte”.
Questa meditazione, ha portato a tutta a due riflessioni.
La prima è quella intorno a cui giro solitamente: se ad un certo momento io scomparirò, i miei figli scompariranno e anche i loro eventuali figli scompariranno, senza lasciare alcuna traccia, qualsiasi cosa io faccia è una divagazione, non può essere altrimenti, termina in un nulla di fatto, in niente, non esiste che per un fugace momento e quindi non esiste.
La seconda è un po' nuova, di oggi: se sto per mettere in moto un'azione, posso pormi due domande. E' una necessità? Se la risposta è si (e si può discutere di quanto lo sia veramente, ma la risposta congiunturale all'azione stessa e allo stato d'animo in cui sono), allora l'azione non può che essere portata a termine al meglio, prima o dopo (dovrò imparare a distinguere quando un'azione è veramente la risposta ad una necessità, ma questo è un altro argomento). Se la risposta è no, la domanda successiva è: se io morissi domani, portare avanti questa azione è di una qualche utilità? Avrebbe avuto senso? Ecco, questo mi pare parecchio importante. Rientra in quella ricerca dell'azione immortale su cui giravo tempo fa. Dare senso alla vita ha quindi a che vedere con la ricerca di qualcosa di eterno; qualcosa che possa includere anche tutti i sensi provvisori come parte di essa, come passi, tappe, distensioni o “divagazioni sul tema”. Includere la propria esistenza in un processo. Come disse un tipo in gamba, un'azione che possa considerarsi valida di fronte a qualsiasi incidente, sia esso anche la morte. Credo che questo abbia molto a che fare con una cosa detta dal Maestro

La Fuerza
Podemos ablar de la fuerza como una experiencia que se tiene como resultado de aplicar una técnica, come resultado de condiciones especiales y seria una forma de verla. Pero tambien puede ser un registro que empieza a aparecer con cierta frecuencia hasta que se vuelve constante y creciente.

Eso depende de la fe y la fe depende de mantener tu linea de accion en una direccion a pesar que te deprimas, de que te sientas debil o que te sientas sin energia, etc.

Si tu eliges un camino che te parece el adecuado y lo mantienes, el dia che amaneces deprimido lo mantienes, y el dia que tu novio te abandona, te engana y tienes un conflicto amoroso, lo mantienes y te la juegas todo en esa direccion, entonces irrumpe un fenomeno que se conoce come fe interna. Y ese fenomeno se manifesta como fuerza. Pero basicamente todo depende de que elijas una direccion y la mantengas lo que pase.

Ecco, credo che questa cosa che chiamai “azione immortale” sia proprio questo cammino, questa intenzione lanciata che mi fa dire “io vado là”, qualsiasi cosa “succeda”. Ultimamente mi sento molto vicino a questa cosa, come se, come dissero i Pink Floyd, fosse continuamente “out of the cornere of my eyes”, “but I cannot put my finger on it now”. E' sempre quel “un due tre stella” con me stesso.

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