Oggi uso la dieta come allegoria del lavoro interno, utilizzando un evento reale avvenuto a me, qualche giorno fa.
Voglio perdere qualche chilo, quindi mi sono messo a dieta. Ieri sera, dopo il mio assolutamente insufficiente pasto, passando davanti alle patate novelle al forno (belle unte, succose e speziate) avanzate alla cena di moglie e figlie, ho pensato: “Beh, oggi sono stato bravo, pranzo moderato e cena frugale. Ora, una patatina novella, non può certo avere conseguenze significative sulla mia dieta; nell'economia delle calorie assorbite e consumate, non può in alcun modo una patata avere un affetto importante”. Per cui, ho mangiato un a patata novella, gustosa, saporita, appagante.
Poco dopo, mi sono alzato di nuovo, per andare a prendere una carota in frigorifero e passando di fronte alle patate ho pensato: “Beh, se ora mangio una patata novella, non cambierà certamente in modo determinante la quantità di calorie ingerite fino ad ora no? Cioè, una patata quante calorie, grassi e altro potrà mai avere?”
E ho riflettuto. Effettivamente è vero. Una patata novella, non può rovinare una dieta. E quando sei là per decidere se mangiare o no quella patata novella, il discorso è assolutamente corretto, quella patata non può avere conseguenze significative ed è assolutamente legittimo mangiarla senza alcun senso di colpa, senza alcuna paura di aver fatto chissà quale danno al mio progetto di dimagrimento. Ma una volta che la patata è mangiata, potrei ripetere questo discorso, perché oramai questa patata è stata mangiata e ora fa parte dello stato attuale delle cose, per cui posso ragionare su quanto una patata novella può influire... e ancora una volta la patata novella non può influire più di tanto. E in base a cosa questo meccanismo si dovrebbe rompere? Quante patate novelle devo mangiare prima di dire “oggi non ho fatto dieta”? 2? 5? 10? E una volta che avrò mangiato abbastanza patate novelle da “rovinare” la dieta di quel giorno, sarò contento?
C'è un solo modo per rompere questo schema, per non cadere nella trappola del pensiero ricorsivo, nel masochismo del farmi male un po' alla volta in modo che non me ne accorga: non mangiare nemmeno la prima patata novella. E quale giustificazione può dare la coscienza al non mangiare nemmeno la prima patata se in effetti, senza ombra di dubbio, quella patata non ha effetti significativi sulla dieta? Devo proiettare quella patata nel futuro. Immaginando di mangiare un bel corposo piattone di patate novelle e decidere se sarebbe cosa buona o meno. Perché nel piatto non c'è una patata, ce ne sono una ventina. La domanda che mi devo porre non è “una patata novella può rovinare la dieta?” ma dovrebbe essere “se adesso mi scofano tutte le patate novelle della ciotola, avrò inciso negativamente sulla dieta?”.
Questo ragionamento, è perfettamente applicabile al lavoro che faccio con me stesso, nel superamento di me stesso, nella comprensione di me stesso, nel cedere alle piccole tentazioni che mi allontanano da me stesso, quei piccoli gesti che non sono salutari per il mio processo di crescita personale e che giustifico con cose come “ma che male c'è a fare questa cosa anche solo una volta? E' un piccolo gesto, che non mi è utile e anzi mi è di danno, ma così poco, così minimamente, che me lo posso permettere”. Sia questo gesto un tiro di sigaretta, una piccola fuga in un momento di ispirazione, cedere brevemente alla paura.
Le piccole contraddizioni quotidiane sono come quelle patate novelle. Non ha alcun senso cedere alla tentazione. Ogni volta che succede non mi devo scusare con frasi come “va beh, è successo una volta, che male c'è”. Non dico tormentarmi con la colpa, ma certamente prendere atto di aver fatto un atto che non mi è salutare, non importa quanto poco, non mi è salutare e dire “questo non è stato un bene, non è stato salutare”. Immaginare le mie scelte proiettate e ripetute nel futuro è un buon sistema per ridurre le “cadute”. Il semplice sorgere della questione “questo non sarebbe un bene per me, ma essendo una piccola cosa, è davvero sbagliato farlo?” già di per se dovrebbe far sorgere in me la risposta “Non è salutare”.
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