lunedì 18 luglio 2016

Vivo nel futuro

Vivo fondamentalmente nel futuro.

Muovo la mano per prendere quel bicchiere, e la muovo perché nella mia coscienza c'è l'immagine di quando avrò il bicchiere in mano, perché prevede la distensione fisica di quando l'acqua in quel bicchiere sarà bevuta. Faccio quello perché succederà questo. Ogni atto, materiale o mentale, è frutto di una intenzione lanciata nel futuro, ha un obiettivo chiaro che non è qui ed ora, ma è in avanti, a pochi attimi da ora.

Più o meno posso paragonare questo all'atto del camminare. Camminare è un continuo sporgersi in avanti, sbilanciarsi in avanti, fino al punto che, se non metto un piede in avanti per sostenere il corpo, semplicemente cado. L'atto del camminare è un continuo sbilanciarsi, protendersi, cadere in avanti, per poi “salvarmi dalla caduta” per poi sbilanciarmi di nuovo. Intensione, tensione, rilassamento della tensione, ripetutamente, ciclicamente, ininterrottamente.

Questo fa la coscienza. Continuamente lancia atti protesi nel futuro, a pochi attimi da ora. Immagino una cosa, divago su una cosa, ma non lo faccio per caso, lo faccio perché c'è una intenzione, c'è una necessità; è un piede messo avanti per fermare una caduta, distendere una tensione.

Posso camminare ad occhi chiusi, mettendo più e più volte il piede in fallo, cadendo, facendomi male e rialzandomi. Oppure posso aprire gli occhi e cercare di capire meglio dove sto andando, se la strada è quella giusta, se il piede lo devo mettere qui o là. Non sono abituato a farlo, perché mi hanno insegnato che se pensi a quello che fai non sei spontaneo, non sei sincero, non sei “puro”. C'è differenza tra meditare sulla tua vita, su ciò che è stato fatto e ciò che c'è da fare, rispetto a rimanere paralizzato dalla paura e dalla vergogna di fronte alla scelta di fare qualcosa. Per uscire dalla paura del giudizio, ci si può anche buttare a capofitto, cercando di zittire la coscienza che ha paura con la forza, nel ciclo degli opposti. Oppure si può tentare di superare la dualità e agire cosciente di agire; cosciente che è un agire proteso, è un agire sereno anche nell'incertezza, agire anche con la paura ma senza scacciarla.

Cerco quindi di imparare a sentire come sto “qui e ora” mentre agisco per “dopo”.
Sembra che quell'apparente giochino sul fatto che “il passato non è più, il futuro non è ancora, esiste solo il presente”, per quanto affascinante, sia un po' banale. Il futuro esiste tantissimo, esiste fortissimo, io sono sempre là, proteso verso di esso: come si può dire che una cosa non esiste quando determina così fortemente il mio agire nel mondo, quando è essenzialmente ciò che fa si che io possa agire? “E' solo nella tua testa!” mi dico. “No, è nella testa di tutti!” mi rispondo. E si può dire di una cosa che è nella testa di tutti che è “solo” nella testa di tutti? Credo che non esista nulla di più reale di qualcosa che è nella testa di tutti.

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