La coscienza è una struttura. Ogni fenomeno che si produce nella mia vita, influenza in qualche modo questa struttura. Per quanto lieve possa essere l'effetto di questo fenomeno sulla struttura (da “mi prude, mi gratto” fino a “è morto mio padre”), inevitabilmente la struttura ne risulterà modificata; la struttura prima del fenomeno e la struttura dopo il fenomeno, non sono uguali. Questo vuol dire che da quel momento in poi, qualsiasi fenomeno interagirà con una struttura leggermente diversa. Da cui ne deriva che “non si prova mai due volte la stessa sensazione”, semplicemente perché non è mai due volte la stessa cosa a provare una sensazione.
Non ci sono due momenti nella nostra vita in cui “siamo uguali”. “La tua vita pesa, i tuoi ricordi pesano, le tue azioni precedenti ti impediscono l'ascesa”. Ogni fenomeno psichico modifica la struttura. Ogni pensiero, ogni insogno, ogni decisione, ogni dubbio, (ogni atto mentale) modifica lo psichismo, depositando in memoria una struttura di dati articolata di percezioni, percezioni della risposta, livelli di lavoro, compresenze, stato della struttura stessa.
E tutto questo è “io”. Tutta questa collezione di registrazioni è “io”. E nonostante la struttura non sia mai uguale a se stessa, ne percepisco comunque una identità inequivocabile. E se quindi esiste questa identità inequivocabile, ma la struttura non è mai uguale a se stessa, cos'è che mi fa dire “questo è io”? Ci deve essere qualcosa di permanente, qualcosa che c'era prima del fenomeno e c'è ancora dopo il fenomeno, qualcosa che rimane, che non viene cambiato dal fenomeno, qualcosa che non fa parte della struttura o che tiene insieme la struttura senza esserne influenzato e che quindi mi fa dire che le due strutture sono “la stessa cosa”.
Ho una struttura. Poi ho un'altra struttura, diversa, molto diversa a volte. Entrambe le riconosco come “la stessa cosa”. C'è qualcosa in queste due strutture che è rimasto uguale a se stesso. Per vederlo, sposto tutta questa somma di registrazioni, questa cosa che “è io” e quando ci riesco, non mi rimane “niente”, perché se fosse “qualcosa”, si modificherebbe insieme alla struttura. Però questo niente esiste ed è ciò che non cambia. Allora dove sta l'inghippo? E' che questo niente non lo puoi localizzare, altrimenti si modificherebbe col corpo e sarebbe qualcosa. Non ne puoi parlare, altrimenti si trasformerebbe in un oggetto e quindi ne verrebbe modificato il registro nel solo “pensarlo”. Questo “niente”, che passa indenne tra i fenomeni, è “niente” per la percezione, solo perché la percezione non può percepirlo; è come dire che gli ultravioletti sono niente per la vista (e quindi per me), ma in realtà questo “niente” può modificare il corpo abbronzandolo.
Questo “niente” quindi non è un niente che “io” può percepire o di cui “io” può parlare. Io non è in grado, non ha gli strumenti per mettere in moto questi atti. “Niente” ha effetto su “io” ma “io” non può avere alcun effetto su niente. L'unica cosa che posso fare è spostare “io” perché niente si manifesti e vedere che effetto ha questo niente sulla struttura e quindi anche su “io”.
Ammazza quanto m'è piaciuto scrivere questa cosa!!
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