"Se persegui un fine, ti incateni. Se tutto ciò che fai lo fai come un fine in se, ti liberi"
Ogni volta che penso che ci sia un obiettivo, un traguardo finale, un punto d'arrivo, chiudo il futuro, interrompo il fluire eterno della vita.
Sono continuamente catturato da una immagine di "illuminazione", di quello stato in cui "finalmente mi fermo" e contemplo la pace, la fine della sofferenza.
Questa è la mia grande resistenza. La resistenza che ho ad abbandonare questo modo di strutturare la realtà. L'attuale incapacità di eliminare "la morte"; la tendenza a mettere quindi una "fine" anche al mio processo di crescita. La mia illusoria finitudine mi "obbliga" a vedere la finitudine ovunque, anche nel percorso di crescita, diventa "imparare fino ad un certo punto" invece di "imparare senza limiti".
Senza, limiti. Senza.
Ogni passo, ogni percorso, non può portare "sul tetto", ma può portare al pianerottolo successivo. E se questo è il modo corretto, se il percorso è salire, salire e ancora salire, in un "ascendere di comprensione in comprensione", allora fissare lo sguardo sul pianerottolo successivo è fuorviante.
Il pianerottolo è un momento in cui prendo fiato, prima di salire il gradino successivo. Ma se le cose stanno così, passo molto ma molto più tempo sulle scale che sui pianerottoli.
Allora, forse, vale la pena che, mentre salgo, invece di stare con lo sguardo fisso sul pianerottolo, immaginando quanto sarà bello stare lì, quanta soddisfazione, quanto prestigio, quanta autostima vi dimorano, io goda della salita, goda del piacere di ogni gradino, della fattezza di quel gradino, di come quel gradino mi aiuta a prendere il gradino successivo, di quanto sia difficile salirlo o lasciarlo. Vale la pena che io goda del processo generale, dell'azione del salire e delle resistenze.
E così ogni scalino diventa un pianerottolo, per ogni singolo gradino "è bello stare lì"; in ogni gradino "vi dimora la soddisfazione" e perché no, anche il prestigio e l'autostima. E in ogni gradino, per salire, devi abbandonare quella soddisfazione e fortunatamente anche quel prestigio. E "ogni cosa come un fine in se" non vuol dire quindi "fai il che cazzo ti pare quando ti pare".
Ogni singolo gesto. Ogni singolo atto, materiale o mentale, può essere a volte un contorno, ma può essere un passo, un gradino e in quanto tale vi può dimorare l'eterno, come l'abisso.
"Parliamo allora dell’unica cosa che meriti di essere trattata: l’abisso e ciò che l’oltrepassa."
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