Imparare l'arte del Silenzio è un esercizio quotidiano che richiede alcune precauzioni.
La prima è un grande affetto nei confronti di se stessi, una grande cura. Accogliere se stessi con un grande abbraccio, pieno di gratitudine per il Sacro che si manifesta nella semplice attesa del Silenzio. Perché innanzitutto il Silenzio non si cerca, ma si aspetta.
La seconda è la pazienza. Un vero Silenzio non sempre si produce dall'oggi al domani e non sempre si manifesta. E' un percorso che richiede sempre una sincera necessità e un profondo rispetto per il proprio percorso interno. E' non duale, non dicotomico, non compensatorio. Ogni volta che cerco il Silenzio, esso è come il Tao e mi sfugge. Con pazienza, torno all'essenziale e accetto che non ogni giorno è quello giusto per il Silenzio e solo quando accetto che possa non esserci Silenzio, esso ha campo per manifestarsi... perché non si può riempire ciò che è pieno.
La terza precauzione è quella della benevolenza. Non sarà facile, riempirò continuamente questo Silenzio con contenuti più o meno casuali. La benevolenza è l'unico modo per avvicinarmi a quel Silenzio. Sorridere alla divagazione, ai rumori, agli insogni, a tutte quelle immagini e a quella voce che pare eterna, inesauribile, che sembra descrivere a me stesso continuamente ogni singolo pensiero.
Il Sé più profondo non è quella voce incessante che parla di tutto, che mi descrive ogni percezione, come una interminabile telecronaca del vivere. Il Sé più profondo è l'ascoltatore. Ogni volta che mi racconto qualcosa, è l'io che racconta e il Sé che ascolta in paziente attesa di un po' di Silenzio. L'io racconta perché ha paura e deve controllare, formalizzare, schematizzare, perché non è in grado di arrivare all'essenziale.
Con affetto, pazienza e benevolenza, occasionalmente, si può dare riposo alla telecronaca e si produce il Silenzio. Simile allo spazio interstellare, in esso vive una calma e una tranquillità di una dimensione così aliena, che più volte sono fuggito atterrito di fronte all'immensità dell'infinito.
In quel Silenzio ho sentito il rumore del tuono sotto le coperte, lo scrosciare della pioggia in una commovente giornata autunnale, lo scorrere delicato del ruscello.
Il Silenzio non si può afferrare perché ogni gesto è rumore.
Il Silenzio non si può capire, perché ogni pensiero è rumore.
Il Silenzio è un'esperienza che non esiste, eppure ogni volta ne esco turbato.
Non posso sentire il Silenzio né ricordarlo, ma sono certo di esserci stato, non chiedermi perché.
Sento che ha a che vedere con la Resa, con la maiuscola. Con la naturalità che si esprime. Con l'essenza.
Lo stato di serenità è lo stato naturale del Sé, l'inquietudine è un disturbo. Come la salute e la febbre sono rispettivamente lo stato naturale e un disturbo per il corpo.
Vale davvero la pena mettersi un po' di tempo ogni giorno in uno stato di attesa del Silenzio, come se se avessi fatto una domanda importante e stessi aspettando una risposta, che giungerà in un sussurro appena udibile, sapendo che la risposta arriverà, ma non avendo idea di quando questo avverrà, solo che invece di arrivare una risposta, arriverà una domanda.
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