La coerenza. Pensare, sentire e agire in un'unica direzione.
A dirlo sembra chiarissimo. Il concetto sembra semplice e lampante.
Ma come fare quando voglio una cosa che non voglio? Quale che sia la mia azione, sarà in contraddizione con una parte di me.
Comprendo allora che la coerenza non è semplicemente la coincidenza di queste tre cose, ma il frutto di un nuovo livello di coscienza, un nuovo atteggiamento nei confronti della vita, dell'essere e del Divino.
La coerenza sorge come percezione del Divino, del Profondo, del Sacro. Quando mi connetto con gli “spazi” più profondi, quando per alcuni momenti l'ego smisurato non riesce a fermare tutto, qualcosa filtra da quegli “spazi” senza tempo e senza spazio. Quando quel qualcosa filtra, non ho più dubbi. Come disse mia figlia: “l'anima sa cosa fare, ma la mente si confonde”. Quando la coscienza è toccata da quella forza primordiale, quel processo storico inarrestabile, il Divino non rappresentabile, so esattamente cosa fare, come farlo.
In queste occasioni speciali posso lanciare la coerenza nella vita, come compresenza, come segnale occulto che si manifesta in forma di direzione, di tendenza.
Non rimangono che vaghi ricordi di quel segnale di Dio. Non rimane che una inafferrabile sensazione di chiarezza, di certezza. Mi rimane però inequivocabile un registro di coerenza; un registro chiaro che da qualche parte so esattamente cosa posso fare, dove posso andare, che esiste un senso in tutto questo, che esiste una direzione evolutiva e che essa è reale, indubitabile. La ragione non può capire questa cosa; la coscienza non può rappresentarla; imparo a lasciarla così come è perché la ragione, per parlarne, la deve degradare, abbassare fino a renderla rappresentabile.
Gli zen dicono: “Rendi il tuo spirito simile al vento, che passa su tutte le cose senza attaccarsi a nessuna di esse”. Questa cosa mi piace, perché il vento non ignora le cose su cui passa. Il vento le accarezza, le muove, producendo dolci melodie di foglie o terribile frastuoni di tempesta. Il vento non è indifferente, ma non si attacca alle cose, arriva, gioca con le cose, poi va via. Ma senza senza volerlo o non-volerlo, si porta dietro un profumo, che poi lascia altrove, così, “naturalmente”.
Percepisco un pensiero lontano.
Una sottile linea divisoria separa il “lasciarsi vivere” dal “lasciare che la Vita si esprima”. La Vita, quella con la “V” maiuscola, il Senso, l'Essere, la Luce, il Tao, Dio, l'Intenzione. Quando sono in presenza di quella luce, lascio che si esprima; quando ci riesco ho un vissuto indubitabile sulla giustezza delle nostre scelte; quella è la Coerenza.
Asimov, in “Fondazione e Terra”, esprimeva questa comunione con l'essenza stessa dell'universalità, attraverso il pianeta vivo Gaia, fatto di tutta materia cosciente e cosciente di se, dalla pietra delle montagne all'essere umano, a differenti livelli ovviamente, ma tutti connessi; gli esseri umani di questo pianeta usavano un pronome diverso quando si riferivano a loro stessi in quanto membri di Gaia invece che a loro stessi in quanto individui: “Io-Noi-Gaia”, declinato nei verbi in prima persona plurale asessuato (asessuato che, ahi noi, in italiano poco si può rendere). Se si estendesse quel concetto a tutto l'esistente invece che ad un singolo pianeta, avremmo “Io/Noi/Tutto”, il Tao. In cui non perdo la mia particolarità (“Io”), ne rendo compartecipe l'umanità (“Noi”), prendendo atto che esiste solamente come parte di un tutto.
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