Ogni cosa è in struttura con altre cose. Qualsiasi mio atto (che sia un atto mentale o un'azione diretta verso il mondo esterno) è frutto di un'intenzione più o meno manifesta; è frutto di un qualche insogno o di una qualche aspettativa. Questo atto si relaziona immediatamente con altri atti, con altre intenzioni (che siano intenzioni mie o intenzioni di altri esseri umani).
Si crea quindi una struttura di intenzioni, che s'influenzano l'un l'altra in un processo continuo inarrestabile, che va a formare una sorta di struttura universale che registro come “l'intenzione dell'umano”... e l'individualismo appare un'assurdità... ma anche la stessa individualità perde gran parte della sua inerzia.
Il superamento della sofferenza lo vivo quindi come un allontanamento dello sguardo dal particolare per percepire il generale. L'ampliamento della coscienza passa attraverso l'allargamento dello sguardo; allontano lo sguardo dal fenomeno per percepire la struttura di cui questo fenomeno fa parte; come interagisce con altri fenomeni, come si influenza con altri fenomeni. Si tratta di allargare il campo di compresenza?
Quel piccione zampetta in Villa Borghese, e il suo zampettare è in relazione con la terra, con i semi, con gli alberi e quindi con me che guardando quegli alberi e quel piccione sento qualcosa o qualcos'altro. Allontanando lo sguardo dal fenomeno, vedo la struttura. Quando percepisco la struttura di cui il fenomeno fa parte, chiudo la scatola, smetto di osservare i componenti della struttura e osservo la struttura che si relaziona con altre strutture.
Il lavoro diventa quindi quello di salire di livello in livello. Ogni volta che riesco a rilassare lo sguardo e a vedere i fenomeni in struttura, smetto di “osservare” i fenomeni e mi concentro sulla struttura, che diventa un oggetto della mia osservazione. Questo “oggetto” si relaziona con altri “oggetti” (li influenza e ne è influenzato), formando una struttura “di livello superiore”.
Di struttura in struttura, mi allontano sempre più dalla particolarità dei fenomeni, avvicinandomi all'essenzialità delle cose. Paradossalmente, più mi allontano, più vado a fondo. Tutto questo mi sembra in relazione su ciò che il Buddha definiva come distacco e anche con la rinuncia al controllo a favore dell'influenza (il controllo è il particolare e il determinismo, mentre l'influenza sono le strutture e la libertà).
A volte, succede che salendo di struttura in struttura, mi trovo in presenza di una struttura che comprende tutto ciò che è, ciò che può essere, ciò che è stato, ciò che sarà e ciò che non può ancora essere. Questa intuizione è inconcepibile e non può essere afferrata dalla coscienza, poiché sono in presenza di qualcosa che contiene la coscienza stessa. In quei momenti di grande ispirazione, mi sembra come se la coscienza fosse uno strumento in mano ad “altro” e che questo strumento, ad oggi, non è completamente adeguato allo scopo: come se questo “altro” dovesse togliere viti con un coltello invece che con un cacciavite. Mi sembra che lo scopo di tutto il mio lavoro sia allora affinare questo strumento e renderlo il più malleabile, poliedrico e multifunzionale possibile; sento la grande necessità di lasciarmi cambiare da questo “altro” che risiede nel profondo della mia coscienza.
Nessun commento:
Posta un commento