lunedì 14 novembre 2016

Intenzionalità

Una volta lessi una specie di intervista ad un mistico indiano... ricordo vagamente uno scambio:

Interlocutore: “Il mondo è pieno di fenomeni che non sono parte della mia coscienza.”
Intervistato: “Anche il suo corpo è pieno di fenomeni che non sono parte della sua coscienza, ma lei non ha alcun problema a riconoscere il suo corpo come “suo”. E' la mente che crea questa divisione tra fuori e dentro la pelle. Lei percepisce il mondo esattamente come percepisce il suo corpo, attraverso i sensi”

Rifletto su questo scambio. Tutto ciò che “guardo” è un “oggetto” di un “atto di coscienza”, essendo fondamentalmente la coscienza “intenzionalità”, un “coscienza-di” un “dirigersi-a”. E questo vale per qualsiasi tipo di “oggetto”; sia esso un albero, un tavolo, l'idea di amore, il sentimento di amore, il mio sentirmi in un certo modo, la coscienza stessa. Qualsiasi cosa su cui posso porre attenzione, diviene oggetto di un atto mentale; e questo atto mentale di “conoscimento/riconoscimento” è sempre uguale a se stesso nella sua forma più essenziale. Il mio atto di “dirigermi a”, di “essere cosciente di”, ha una forma ben precisa, con vissuti inequivocabili che sono sempre gli stessi quale che sia l'oggetto.

Questo significa che la coscienza percepisce tutto nello stesso modo, attraverso l'intenzionalità. Qualsiasi fenomeno, sia che noi lo definiamo esterno sia che lo definiamo interno, esiste come oggetto dell'atto di coscienza, che quindi non esiste in sé ma solo come complemento dell'oggetto, poiché la coscienza è intenzionalità, è “coscienza di”.

“Percepisco” l'intero universo (universo inteso come l'insieme di tutti i possibili oggetti a cui può dirigersi la coscienza e non solo quindi come semplice “materia”) attraverso l'atto di essere “cosciente di esso”. Per la coscienza non c'è reale differenza essenziale tra un albero, un atomo, una risata, l'amore, la morte, l'infinito e la coscienza; per la coscienza sono tutti oggetti-di-atti-di-coscienza. Mondo e coscienza esistono quindi solamente nella struttura “atto/oggetto”, nel preciso istante della strutturazione. Non esiste “coscienza in sé” o “mondo in sé”, ma solamente “coscienza che percepisce il mondo”... e questo “coscienza che percepisce il mondo” è quindi tutto ciò che esiste.

Questo in qualche modo impone un comportamento. Questo in qualche modo significa che ogni mio atto è un atto che parte dall'essenziale e finisce nell'essenziale, parte da me e finisce in me, parte dall'altro e finisce nell'altro. Questo sta alla radice dell'empatia. E' il motivo per cui se vedo un dolore sento un dolore. Questo è il motivo per cui posso sentirmi in imbarazzo per l'altro. Tutto sta nel decidere quanto vogliamo che questo processo sia automatico e biochimico e quanto una espressione della libertà, di ciò che non è coscienza, del caso, dell'incertezza, del tentativo. Posso considerare certo e indubitabile solamente il vissuto interno che ho delle cose, non le cose in sé.

L'unica cosa costante, il permanente, l'identità, l'essenza, è quindi il cambiamento, il divenire, ciò che non è ancora, poiché ogni “atto” modifica la struttura e quindi non c'è mai due volte una struttura “atto/oggetto” uguale alla precedente e l'essere “cosciente di” non parte mai due volte dallo stesso punto, non c'è mai due volte la stessa intenzionalità. Non mi bagno mai due volte nello stesso fiume.

Sono essenzialmente cambiamento. Sono essenzialmente divenire. Sono essenzialmente ciò che non sono ancora e quando lo divento non lo sono già più.

“Solo nella misura in cui sei capace di vedere qualcosa tale come è realmente, qui e ora
non come è nella tua memoria nel tuo desiderio o nella tua immaginazione,
potrai veramente amare”

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