venerdì 10 giugno 2016

Assenza di giudizio

Oggi ho scoperto questo.
La meditazione è innanzi tutto, assenza di giudizio.

Essere presenti a se stessi, coscienti della sofferenza, della contraddizione, diviene realmente meditazione, quando sono in grado di osservare i miei atti mentali senza giudicarli, senza creare, attraverso il senso di colpa o la mortificazione, sofferenza dalla stessa pratica meditativa.

Durante la meditazione, sono cosciente della violenza che è in me e fuori di me, ne percepisco il nascere, lo svilupparsi e il morire. Non è in questo momento che mi è utile “giudicare” la violenza, né è in questa sede che “sconfiggo” la violenza in me e fuori di me.

Stessa cosa avviene per il risentimento, per l'attaccamento ai ricordi, per l'incertezza nel presente, per la paura del futuro. Non è in questa sede che “sconfiggo” le tre vie della sofferenza. In questa sede mi elevo, prendo coscienza dell'illusione, delle dittature.

La sede in cui cambio me stesso e il mondo per allontanare ciò che è sofferenza e contraddizione, per creare unità e continuità, è l'azione. Agendo su ciò che contemplo, tra successi e fallimenti, perfeziono la meditazione, nutro la meditazione, aggiungo nuovi elementi su cui meditare; in definitiva, medito.

La meditazione diventa duplice. C'è la meditazione in contemplazione e la meditazione in azione. Come uno scienziato che studia e formula una ipotesi che poi sottopone al vaglio della sperimentazione, tenendo sempre a mente l'ipotesi... e, quale che sia il risultato dell'esperimento, impara qualcosa di nuovo, sia anche la totale inadeguatezza dell'ipotesi stessa e questo “risultato” entra a far parte di una nuova ipotesi, di una nuova “meditazione”.

E la meditazione è quindi, essenzialmente, assenza di giudizio. E' comprensione, crescita, comprensione e superamento di se stessi e dei propri limiti. E per quanto sia una forzatura separare le due meditazioni come fossero distinte, questa separazione è didatticamente utile per comprendere i due modi in cui si cresce: contemplando e agendo su ciò che si è contemplato. Questa dicotomia si annulla poi definitivamente quando mi rendo conto che lentamente imparo a contemplare l'azione stessa, in questo ciclo di alimentazione continua della meditazione, che diviene quindi un unico atto: vivere, il nastro Moebius.

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