Morirò. Inevitabilmente ed inesorabilmente, questo corpo cesserà di muoversi, questo cuore smetterà di battere.
La presa di coscienza di questo dato di fatto, cambia la mia vita totalmente, anche se per pochi attimi, poiché immediatamente iniziano a lavorare “gli anticorpi dell'io”.
Ma se ignoro questo fatto, se non lo tengo presente, se questo argomento non entra mai nelle decisioni che prendo, tutto quello che faccio non ha alcun senso. Nessuna azione in questa realtà materiale e tangibile ha senso, se non prevede una conseguenza trascendente la morte o se non fa parte di un progetto trascendente la morte e non è nemmeno necessaria alla sussistenza o la stabilità di un sistema trascendente la morte, se in definitiva non tiene in considerazione in qualche modo la morte.
La coscienza della finitudine della parte materiale è importante. Essendo questa finitudine forse l'elemento da cui più fuggo e quindi più di tutti causa dell'abbassamento del livello di coscienza, esercitare la “coscienza della finitudine”, meditare sulla finitudine, sulla morte, sulla trascendenza, sull'attaccamento, sull'eternità e l'infinito, sono azioni di assoluta utilità.
Quando sono cosciente della mia finitudine, diventa sciocco mentire, fare una cosa senza voglia, sentirsi in colpa, sentirsi in dovere, curarsi del giudizio altrui. Quando sono cosciente della morte, non mi interessa essere riconosciuto o fare brutta figura. Quando sono cosciente che potrei morire domani come tra 50 anni, il mio unico interesse è fare felice me e coloro nelle mie immediate vicinanze... è come un imperativo, una necessità irrimandabile.
Parlando con una mia cara, carissima amica, la stessa della volta prima, ho pensato che lasciare questo corpo, se saprò prepararmi bene, sarà anche un sollievo, l'ultima liberazione, un momento esaltante.
Se sono cosciente della finitudine della materia, le mie azioni si concentrano sull'essere pronti per quel momento, sul preparare se stessi, a quel momento, “facendo” qui e ora. Allora osservo me stesso che agisce, come si osservano con grande curiosità dei piccioni che mangiano... e mettendo una mollica qui e una lì, posso portare quel piccione fin dove veramente mi serve.
In quegli inafferrabili momenti in cui sento con chiarezza la finitudine della materia, sono colto da un'incontenibile necessità di chiarezza, di luce, di lucidità, di unità. In quei volatili istanti, non mi interessa ciò che stanno pensando gli altri di me, totalmente. Sono centrato, sicuro, inamovibile, sereno, cosciente.
In quegli attimi, ultimamente ho preso delle decisioni e molte di queste decisioni hanno avuto a che vedere con “togliere”, fin quando il vuoto che si è creato non era abbastanza grande per contenere altro, che poi a volte è rientrato di nuovo nel ciclo del togliere. Basta con la Roma, basta con quelle serie TV, basta con quel gioco al PC o alla Play... Lentamente vado togliendo cose che mi sembra di usare per non annoiarmi.
Quando la morte è chiaramente presente, non voglio perdere tempo, voglio arrivare all'essenziale, al determinante, all'unico, all'universale. Non ha senso rimandare, temporeggiare, aspettare il momento propizio. E la prima cosa a cadere, è l'orgoglio.
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