lunedì 20 giugno 2016

Uno, Tutto, Nulla

Leggevo alcune considerazioni di alcuni praticanti (più o meno riconosciuti) il buddhismo e il buddhismo zen.

Le posizioni buddhiste, o anche quelle taoiste, vanno sempre, più o meno a parare là: tutto è uno, oppure tutto è niente, sei già illuminato solo che non lo sai, abbandona desiderio e attaccamento.

Ma se tutto è Uno, allora anche la mia dualità, la mia mania, il mio conflitto e il mio conflitto nei confronti della dualità e del conflitto sono l'Uno
Se tutto è Nulla, allora anche questa mia comprensione è Nulla, e anche il mio desiderio di comprendere questo è Nulla, anche il superamento della dualità è Nulla.
Se sono già illuminato, se le cose stanno bene come stanno, anche il mio desiderio di interferire e cambiare le cose da come stanno sta bene come sta, anche il mio desiderio di illuminazione è illuminazione e anche la mia frustrazione per la mancanza di illuminazione è tale.
Se bisogna superare il desiderio, bisogna anche superare il desiderio di superare il desiderio.

C'è qualcosa che unisce tutti questi pensieri. Il paradosso, la ricorsività, il ritorno su se stesso.

C'è un grande segreto che si nasconde dietro questi millenari insegnamenti, dietro le strane parole di saggi antichi e moderni, di mistici seduti o girovaghi. C'è il tentativo di spezzare uno schema di pensiero. Come se mi stessero dicendo che devo smettere di pensare come ho sempre fatto. Che si tratta di rompere una forma. Mi stanno dicendo che il pensiero è mondano, terreno, instabile, inadeguato, impermanente, insufficiente. Questi maestri stanno tentando di produrre in me quello shock, quella destabilizzazione, quella coscienza indiscutibile dell'inadeguatezza del pensiero.

Sento quindi la necessità di abbandonare la necessità impellente di rappresentare sempre ciò che sperimento. C'è quella forza traente verso il basso, che nel suo fare sembra dire: “Se non puoi formalizzare questa cosa, se non puoi concretizzare un vantaggio evidente nella tua vita quotidiana secondo alcuni schemi di vantaggio e svantaggio, se non puoi dargli un nome, descriverlo in modo soddisfacente alla mente mondana, allora non è reale, è illusorio, è suggestione; in definitiva non vale.”
Questo mi sembra il grande inganno e la grande resistenza. La difficoltà ad accettare ciò che viene durante la pratica, la meditazione, l'azione e il vivere in generale; accettarlo e osservarlo come viene e non volerlo possedere né non-possedere. Anche perché fondamentalmente se è in me, se nasce in me, è già mio ma, essendo diretto verso la morte, in definitiva, nulla è realmente mio.

Poi rifletto sul “far fare a se stessi” qualcosa, creando una dualità non solo tra sé e il mondo, ma tra un ipotetico sé che decide e un ipotetico sé stesso che agisce. Tutto è Uno quindi mi aiuta ad accettare che io sono Uno e non due, e che non posso “scegliere di fare qualcosa” né “impormi di fare qualcosa”, posso semplicemente fare qualcosa o non farla; mettere in moto un pensiero, oppure non metterlo in moto; essere unito o essere diviso.

Lo zen sembra tradurre questa cosa più o meno in questo modo
“Quando agisci, limitati ad agire. Quando pensi, limitati a pensare. Sopratutto, non restare nell'incertezza”

Colgo quindi la differenza tra “evolvere” e “migliorare”. L'albero non è un “seme migliorato”. Innaffio il seme perché un giorno diventi albero, ma non perché il seme è sbagliato.

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